Testo e foto di Isabella Mancini

Era di Vercelli ma l’umorismo l’aveva secco e pungente come quello dei toscani. A Siena arrivò nel 1501 e la elesse a sua residenza. Giovanni Antonio Bazzi è passato alla storia come il Sodoma, il suo volto giovane ritratto dalle sue mani nell’affresco del Chiostro dell‘Abbazia di Monte Oliveto Maggiore. Il ciclo di affreschi che fu chiamato a realizzare dopo che il più anziano Signorelli abbandonò la sfida è un libro di aneddoti. I quattro lati del Chiostro Grande sono interamente dipinti, alcuni, due del Signorelli, danneggiati gravemente dopo l’obbligo di chiusura del monastero sotto gli editti napoleonici. E’ un’opera importantissima, una delle più alte testimonianze dell’epoca rinascimentale.
Gli affreschi del Signorelli sono otto e vennero realizzati nel 1497-98. I restanti sono del Sodoma e vennero realizzati dal 1505 in poi. Il rapporto di Sodoma con i monaci non fu sempre lineare: i soldi non arrivavano mai in tempo e il Sodoma si “vendicava” inserendo dei piccoli dispetti nell’opera. A due asini, ad esempio, mancano due gambe, dalla finestra di un’abitazione ritratta nell’ultimo dei muri affrescati si vede tesa al sole una camicia: l’ottava da lui sudata per portare a termine il suo capolavoro. La vita di San Benedetto è narrata per filo e per segno in 35 scene che si basano sul racconto di San Gregorio Magno (e digressioni del Sodoma), trentacinque scene che ospitano anche i volti di uomini dell’epoca. Anche quello del Sodoma, come abbiamo detto, che una volta riconciliato con l’Abate si ritrae assieme ai suoi familiari con addosso un ricco mantello ricevuto in dono proprio dal Monastero. Si narra nei libri del Monastero stesso che l’affresco su come “Benedetto spezza col segno della croce un bicchiere avvelenato” vede ritratto anche l’Abate nei panni proprio di uno dei frati che, stanchi della rigida disciplina del Santo, cercarono di eliminare Benedetto. Negli affreschi del Sodoma sono poi ritratti numerosi animali che fanno da contorno alle scene ritratte: si narra infatti che il Bazzi avesse l’abitudine di prendere con se per addomesticarli dei piccoli animali selvatici. Ecco così che lo vediamo ritratto con dei tassi, ricci, cigni, serpi, gatti e furetti.
Se passate in questo piccolo borgo a due passi dalle meraviglie paesaggistiche della Val d’Orcia non mancate di farvi raccontare l’aneddoto riguardo all’affresco n.31 su “Come Benedetto ottenne farina in abbondanza da ristorare i monaci“. In primo piano un gatto e un cane che si litigano una lisca di pesce e, seduti alla tavola i monaci. Il primo sulla destra cerca, furtivamente, di rubare una pagnotta al secondo che, accortosene, lo riprende con una pacca sul dorso della mano. Piccoli aneddoti che rendono un’opera unica così come l’uomo che la realizzò.