Testo e foto di Isabella Mancini
Che cosa sono? Sono dei libri, sono degli oggetti sonori, sono immagini ricordo.
Il trauma e lo spazio. Il trauma dell’abbandono forzato, che sia per cause economiche, politiche, sociali, della propria casa, del luogo dove si è costruiro il porprio guscio: è questo il cuore della ricerca di Emma Willemse, artista sudafricana che negli ultimi anni ha dedicato la sua arte all’indagine del tema.
“Di estrema attualità anche da queste parti” mi dice facendo riferimento ai migranti in arrivo in Europa fuggendo da guerre, carestie, povertà. Nel 2010 aveva realizzato “Timeline for a Bank”, una serie di scatti fotografici che riprendevano le immagini di ciò che era avvenuto nella borgata di Bank, vicino a Carletonville, nel 1970, quando, a causa delle intense estrazioni minerarie della zona, gli abitanti persero le proprie case: il terreno venne “mangiato” da delle doline. Queste immagini, ed altre appartenenti ai lavori successivi, sul rapporto tra effetti psicologici e perdita della propria casa sono oggi raccolte in “101 ways to long for a home” una installazione composta da decine di “libri”, con copertine fatte di pavimenti in legno e fogli dicarta, fotografie e lembi di stoffa. “Ho pensato che racchiudere in un libro, oggetto al quale affidiamo il tramandarsi della conoscenza, ciò che resta del proprio passato, fosse il modo migliore per elaborare il trauma della deportazione, del dover abbandonare forzatamente la propria casa”. Ma come mai una donna sorridente e solare, docente universitaria, artista affermata nel suo paese ed all’estero, ha deciso di lavorare su un tema così lacerante? “Ho vissuto per alcuni anni il dolore di dover abbandonare numerose abitazioni. L’uomo con cui vivevo era un alcolizzato e non avevamo mai soldi per pagarci l’affitto. Vagavamo di casa in casa fino al’ultima che fu demolita subito dopo la nostra uscita. Lì ho recuperato pezzi di pavimento, alcuni infissi, materiali che ormai erano di scarto. ‘Un giorno troverò il modo di lavorarci su’ mi sono detta. E quel giorno è arrivato. Sono convinta che la connessione tra la coscienza umana e il luogo, lo spazio, non è anora stata definita in modo chiaro e che quindi può essere esplorata solo attraverso una conoscenza alternativa. La mia tesi è che c’è una mancanza di consapevolezza di quelli che sono gli effetti del trauma della perdita della propria casa e di come questo impatti il campo di conoscenza dello spostamento.”
“101 ways to long for a home” è parte di un progetto a lungo termine costituito dalla creazione di un manuale immaginario costituito da 101 opere d’arte, realizzate in varie tecniche, tutte derivate da un collage dei frammenti di immagini raffiguranti edifici in costruzione.