Testo e foto di Giovanna Iorio/
Torre Mileto è una striscia di case abusive tra due laghi salati, Lesine e Varano.
Di fronte, perse in una foschia grigia, galleggiano le Isole Tremiti e le misteriose demarcazioni di un allevamento di cozze.
A Torre Mileto ogni edificio costruito sulla spiaggia è abusivo.
Abusivo è un termine misterioso che cambia senso a seconda di chi lo usa. Qui abusivo vuol dire un pezzo di storia famigliare; ricorda un giorno quando gli abitanti dei paesi limitrofi (Sannicandro, Lesina, Apricena, San Marco) vennero con mattoni e cemento a costruire una casa abbracciata alle onde sul terreno demaniale.
Lo racconta, con innocente candore, la gente che in estate vive nelle case abusive: figli e nipoti di quei pionieri che negli anni ’60 quasi obbedirono a un ordine divino e si mossero alla conquista della terra promessa.
Cerco di capire chi sia il responsabile di questo scempio, una ferita di 8 km che il tempo non rimargina. Continua ad allargarsi e pulsa di vita. Cammino lungo la spiaggia, mi guardo in giro, faccio qualche domanda a chi, con un rastrello, pulisce il pezzetto di sabbia davanti alla porta di casa. Abusivo sembra voler dire popolo eletto, figli di un dio generoso che ha concesso il permesso di edificare sul suolo pubblico.
Cerco gli abitanti delle prime costruzioni, trovo una donna su un terrazzo bianco. Si chiama Grazia, accetta che le rivolga qualche domanda. Mi racconta di suo padre, venuto negli anni ’60 su questa spiaggia a costruirsi da solo una casa.
Sul terrazzo Grazia la mattina dispone cassette di legno piene di frutta e verdura.
La stanza da letto è talmente vicina al mare che c’è il riflesso delle onde sullo specchio.
Lei sa che potrei dir male di Torre Mileto, delle case abusive, e allora spiega che bello o brutto dipende da chi guarda. Per quelli di passaggio, come me, Torre Mileto è l’inferno. Ma per chi vive sulla spiaggia, invece, è il paradiso terrestre.
Siamo una sola famiglia.
Accanto alla casa di Grazia quattro anziani, seduti a un tavolino di plastica, giocano a carte.
Vede – e mi dice i nomi dei vecchi giocatori – loro la mattina mi danno una mano a pulire la verdura e poi a venderla.
Si scusa, perché la spiaggia è sporca come una discarica.
Siamo abusivi e il Comune non pulisce. Però puliamo noi, più volte al giorno e anche a fine giornata.
Il mare porta a riva di tutto: bottiglie di plastica, alghe, rifiuti, le reti colorate dagli allevamenti di cozze. Ma l’interno delle case, mi assicura, è pulito come un gioiello.
M’invita ad entrare, mi mostra con orgoglio tre stanze scintillanti, profumate di mare, con mobili di un’altra epoca, prese da un’altra vita.
Era la camera da letto di mia madre, – racconta Grazia. Scorgo un gabbiano dipinto su un pezzo di legno.
-L’ho trovato sulla spiaggia.
Il gabbiano sembra a suo agio in questa casa abusiva tanto vicina al mare.
Mi colpisce una spirale di scale che non porta da nessuna parte, ferma a mezz’aria tra il cielo e la terra, come una promessa che non sa portare Dio a terra né gli uomini al cielo. Escher, ne sono sicura, è stato in questa casa.
La facciata mostra un misterioso mosaico. E’ realizzata con i resti delle case demolite altrove, trasportate fino al mare sulla strada polverosa; vecchie porte che nessuno chiude a chiave, finestre che si aprono sulla schiuma del mare, cancelli fatti con legni raccolti dopo le mareggiate. Sono questi i confini inventati di un paese abusivo; qui i bambini giocano su pavimenti di mattonelle azzurre e aspettano pazienti il tramonto.
Da giorni torno sulla spiaggia a cercare di capire cosa mi affascina di questo mucchio disordinato di case e vite.
La rabbia che ho provato appena arrivata sembra svanita. Comincio a pensare che, con un po’ d’immaginazione, si potrebbero trasformare questi brutti edifici in suggestive opere d’arte; immagino a lavoro gli artisti. Si potrebbero colorare le facciate, mettere in risalto l’architettura surreale.
Le belle barche dei pescatori, dai colori spenti, potrebbero essere riverniciate e disposte davanti alle case. Si potrebbero pulire le spiagge e vietare alle macchine di parcheggiare in prossimità del mare. Pulire tutto. Ma è solo un sogno.
Eppure questi edifici, opere di sconosciuti Gaudì, pullulano di vita. Nelle stradine sterrate tra le case nugoli di bambini giocano tra rifiuti e mosche. La gente balla affettando angurie gialle. Potrebbe essere un brutto quartiere descritto da Dickens che il sole accecante del Mediterraneo trasforma in un giardino pieno di meraviglie.
Mi fermo accanto a un vecchio, è seduto a guardare il tramonto sulla sua sedia sdraio. Mi dice, con rassegnazione, che il mare si sta avvicinando. Cinquanta anni fa era lontano e gli alberi riempivano la spiaggia. Il mare sta arrivando . E’ a due metri dalla sua casa e il rumore delle onde gli chiede continuamente di entrare.
Tutti sanno che, prima o poi, qualcuno abbatterà le case di Torre Mileto. Per questo motivo nessuno si preoccupa di pulire, di dare la vernice alle ringhiere arrugginite. Il vecchio mi indica una macchia di pini, in lontananza.
Laggiù ci sono le ville abusive dei ricchi, – dice con il dito puntato verso il sole che sta per tramontare. Il suo sguardo sembra dire che l’abusivismo dei ricchi è invisibile, mentre quello dei poveri è alla luce del sole.
Mi siedo e anche io aspetto il tramonto sulla spiaggia di Torre Mileto. Che strano, si sono fermati tutti. Nessuno parla. Hanno il viso rivolto al sole e in silenzio aspettano la fine del giorno.
Forse ha ragione lui. Qui non servono Guadì, Escher o Dickens. Sarà il mare a rimarginare questa ferita di otto chilometri. E mentre mi allontano un guizzo di luce illumina un’onda sul muro del terrazzo. Forse il disegno di un bambino che ha sognato Atlantide.