Testo e foto di Francesco Parrella
Ivo ha capito come fare. «Quando si avvicinano tu cantagli una canzone». «Non sono violenti vogliono solo i soldi», tranquillizza l’ostellaro. Eccone uno: «Hallo, where are you from?», e prosegue: «Quando sei arrivato. Quanto ti fermi. Hai già un albergo. E quanto paghi. Hai già dato l’anticipo. Stai cercando un negozio di pashmine. Neanche le pashmine. Un taxi?». Passano venti minuti ed è sempre attaccato ai miei passi. «Meglio andarsene di qua – dice poi cambiando tono – tra poco scoppierà una rissa in strada». «No di là no, la strada è chiusa, ieri c’è stato uno scontro coi musulmani e oggi non fanno passare nessuno». La «sceneggiata» può andare avanti per ore, perchè in India gli scammers, i cacciatori di turisti da spennare, puntano a logorare la preda. Pensavo di essermene liberato, ma mi sa che si sono dati la voce e, dopo qualche minuto, eccone un altro. Si accosta al marciapiede a bordo di una vespa e ha un’espressione più severa del primo. Mostra un tesserino plastificato e si attribuisce un ruolo in non so quale ufficio. «Dove stai andando?», intima. «Perchè cammini a piedi e non in risciò. Ci sono delle persone che ti stanno seguendo, non so cosa vogliono, ma è meglio che vai via in fretta». E si allontana. In fondo alla strada se ne vede un altro già pronto ad entrare in scena. Il fast food che incontro prima si dimostra perciò un ottimo «rifugio» per riordinare le idee. Scopro che dietro l’angolo c’è una fermata della metro. Dopo due ore ritorno così al punto di partenza, a sole dieci rupie. Il giorno dopo stessa strada, scammer diverso: «Hallo..where..». Senza esitare un secondo sperimento il diversivo suggerito da Ivo, un italiano già da due mesi in viaggio per il subcontinente, e gli intono la prima cosa che mi passa per la mente. Funziona. Il tipo sorride, comincia a incuriosirsi, appare spiazzato. Si allontana felice. Io pure.
Alle 19.38 parte il treno per Varanasi. La stazione è lontano si e no un chilometro ma con qualche bagaglio è meglio arrivarci in risciò, e senza correre il rischio di cimentarsi a cantare. L’atrio è affollatissimo di gente. La maggior parte è sdraiata per terra, tanti dormono. Tutti aspettano un treno. Chi da un’ora, chi da due, chi da un giorno. Il treno per Varanasi porta solo 10 minuti di ritardo. Menomale. Passa invece mezz’ora e il cartellone aggiorna ogni dieci minuti lo stesso ritardo. Dopo due ore, l’annuncio che il treno sta per arrivare in stazione. Non si capisce più se al binario 7, come riporta il cartellone, o al binario 8, come dice l’annuncio. Se da una parte della banchina o dall’altra. «Dovrebbe arrivare al binario 7 ma potrebbe arrivare anche al binario 8», risponde l’addetto dell’ufficio preposto dopo aver controllato il movimento dei treni su un monitor. Nelle grandi stazioni in India con la mole di viaggiatori che c’è, spostarsi anche solo un centinaio di metri lungo la banchina quando il treno sta per arrivare in stazione può richiedere tempo. Si può salire solo nella carrozza prenotata e non in una qualsiasi nel caso il treno stia per partire, anche perchè non ci sono porte di collegamento tra una carrozza e l’altra. Non è un caso se tutti arrivano in stazione con almeno due ore di anticipo.
Il treno deve aver recuperato tutto il ritardo durante la notte e arriva a Varanasi, l’antica Benares, in perfetto orario. Si scende dopo aver riposato benissimo sui comodi letti anche di seconda classe dei treni indiani. All’uscita della stazione ci si immerge in un traffico claustrofobico con migliaia di mezzi e persone in movimento. Per arrivare ai ghat sul Gange l’autista del tuk tuk deve fermarsi. Nelle vie strette e affollate della città vecchia che conducono al fiume si cammina solo a piedi. La maggior parte gira tradizionalmente scalza. Tra cani che dormono, vacche che vagano, scimmie che saltellano sui tralicci, e una miriade di negozietti e guest house.
A Varanasi arrivano devoti indù da tutta l’India. Per la Puja mattutina nel Gange, per sposarsi, per la cerimonia al tramonto dedicata alla Dea Madre Ganga, per le cremazioni. L’atmosfera di misticità che si respira in questa città, tra le più antiche al mondo, richiama turisti da ogni dove. Charles però ha altro per la testa. Sta pensando come fare per non pagare la tassa sulla casa in Irlanda. La usa poco e con gli alimenti da passare alla ex moglie deve stringere la cinghia. «L’unico modo è vendere la casa e comprare un camion con un container. Ne ho visto già uno e non costa neanche tanto arredarlo», racconta sorridente mentre sorseggia un thè «solo perchè in India non servono la birra». Charles è un esile sessantenne irlandese che ha girato mezzo mondo, un po’ per lavoro, fa il camionista, un po’ per passione. Anni fa è partito dall’Irlanda in moto ed è arrivato fino in Cambogia, passando per Varanasi. All’esterno intanto di questa osteria frequentata da viaggiatori occidentali la persona appoggiata di spalle al vetro del locale che a prima vista sembrava un barbiere di strada fa tutt’altro mestiere. Toglie il cerume dalle orecchie ai clienti di turno utilizzando dei sottilissimi bastoncini di metallo. Una cura del corpo si vedrà molto diffusa in India.
Stamattina la sveglia che doveva suonare alle 5 probabilmente non ha suonato, e ora che si sono fatte le 7 è saltato l’appuntamento col barcaiolo per il giro all’alba sul Gange. La giornata prosegue sulla terraferma. Intorno alle 10 i ghats principali sono già ambedue affollati. I più fortunati hanno anche un lettino, e quando non dormono meditano o prendono il sole sotto un ombrellone di palme essiccate, ed è come se stessero al mare. Sugli scalini quasi in acqua si stanno celebrando invece diversi matrimoni. Gli sposi coi parenti al seguito sono arrivati il marito davanti e la moglie dietro legata all’uomo da una stoffa annodata al suo sari. Terminati i riti religiosi il celebrante sembra avere improvvisamente fretta. Ha visto altre spose che aspettano, e la concorrenza è tanta. «Vi dovete decidere», dice quasi perdendo la pazienza a sposi e parenti. «Ve l’ho già fatto lo sconto – ripete -: se volete che accenda questo tipo di tric trac mi dovete dare 150 rupie, per questi altri saliamo a 200». Gli sposi si guardano ancora indecisi e poi intorno. Tra i parenti una donna anziana fa cenno al celebrante, guardandolo con sufficienza, di accendere i tric trac più costosi. Ed ecco che per alcuni secondi si sentono scoppiettare i botti sull’acqua. Arriva nel frattempo Sunil, un «broker» che vuole convincermi a visitare il negozio in cima alla scalinata. «Non devi comprare niente – dice – devi solo venire a dare un’occhiata: pashmine, camicie di seta, cotone. A prezzi che non troverai da nessun’altra parte perchè il negozio fa parte di una catena pubblica, non è un privato che deve guadagnarci». Domani. Dopo mezz’ora riesco a convincerlo che ci passerò domani. La sveglia stavolta suona, e all’alba il giro in barca sul Gange ricompensa del sonno perduto.