Testo e fotografie di Giovanni Mereghetti
Allegro e gioviale, vivace e generoso, gradevole senza mai essere troppo impegnativo, versatile, leggero e schietto, come gli abitanti della terra su cui affondano le loro radici le eredi della latina vitis labrusca. Così è il nettare color rubino dalla schiuma briosa ed evanescente, in grado di accompagnare ed esaltare la cucina opulenta e fastosa, genuina e casalinga del modenese. Ma non solo: fresco e profumato, giustamente tannico, il lambrusco è all’altezza di accompagnare gli abbinamenti gastronomici più inusuali della cucina italiana e internazionale. Ma come tutte le generazioni di migranti, anche il lambrusco ha la sua patria, le sue personalità, i suoi antenati comuni. La culla di origine del vitigno selvatico è Modena e qui si sono evolute quelle varietà di uve aristocratiche che hanno generato i tre tipi di lambrusco DOC tutelati dal Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi, che non a caso ricalca nel suo marchio il rosone del duomo della città natale. Il Lambrusco di Sorbara, il Lambrusco di Salamino di Santa Croce e il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro gareggiano in intensità del color rubino, in sfumature violacee degli orli della schiuma, in profumo fruttato più o meno intenso che mette in luce le rispettive personalità, permettendo loro di bagnare al meglio le differenti portate di un unico lauto banchetto, dagli antipasti sfiziosi ai primi e ai secondi corposi, ai dolci golosi.