Testo e fotografie di Andrea Semplici
A fianco dell’hotel Villa Americana, a Managua c’è un caffè. Desayunos con gallo pinto, riso e fagioli neri. Sono a casa. Questo è il cafè de los poetas. Quartiere de Las Palmares. Un ritratto azzurro è lui. Il basco, i capelli bianchi. Lo immagino un uomo alto. E, invece, è piccolo di statura. E’ lui al mattino, in un caffè. Accanto a Gioconda e ad altri poeti di cui non conosco il volto. Solo lui, e i suoi novanta anni, e Ruben Darìo, il poeta nazionale, sono in un affresco, un quadro. Mi spiega il cameriere: ‘A volte i poeti vengono qui. Il proprietario ama la poesia’. Ci sono altre tre persone a fare colazione. Anziane. Il riso con i fagioli non è un granché. Il quadro di Ernesto è bello. Molto bello. Prendo la mattina di Managua come un buon presagio.
A Granada. Una casa immensa. Talleres de artesanias. Grandi patii. El Che Guevara con Sandino e Salvador Allende. Qui si ritrovano i poeti. Leggono uno dopo l’altro. Questa è la Casa de los tre Mundos. E don Ernesto è nato qui, questa era la casa della sua famiglia. E’ un intero isolato. Oggi, ai miei occhi sopresi appare come una meraviglia. Andirivieni di ragazzi. Poeti che si arrampicano sui versi, ragazzi che dipingono, RadioVolcan che trasmette rock, una scuola di grafica. Mi sono perso. Ernesto entra nella sala. Lo immaginavo altissimo. Basco nero, capelli bianchi, il bastone, gli anni, l’aria da gatto.
Due poeti salvadoregni dedicano le loro poesie a San Romero de America.
A notte, nella piazza Ernesto innalza una carta geografica del Lago Nicaragua. E tutti applaudono. Ognuno, in questa piazza, sa cosa vuol dire quel gesto. Sta a significare: non fate quel Canale, non vendere la nostra terra alla Cina.
Poi Ernesto ascolta un poeta statunitense che è cubano. Figlio di un’esule cubana. Vive a Miami. Racconta della fuga di sua madre. Ernesto, alla fine, applaude. Avevo appena letto una sua intervista in cui narrava della sua passione per Fidel.
Il vento fa volare i fogli della poesia di Ernesto. Una ragazza li raccoglie. La sua poesia è un viaggio sul lago Nicaragua. Lui ha vissuto qui, sulle isole Solentiname. Eremo e comunità. ‘Il lago riflette il volto di Dio’.
Un vecchio (avrà la mia età) di Jinotepe mi chiede da dove vengo. ‘La città del pittore’, mi dice dopo che gli ho risposto di Firenze. ‘Leonardo’.
Ha ragione un poeta spagnolo, qui sono tutti matti, todos locos. Affollano una piazza per ascoltare i poeti. Gridano Viva la Libertà. E i ragazzini di strada si siedono in prima fila. E’ una grande serata anche per loro.
Un poeta di Taiwan legge nella sua lingua. E’ un groviglio di sibili. E’ che io credo di capire.
Poi vado a taller de poesia. Voglio solo fare delle foto. Niente da fare. Josè Maria mi afferra e mi fa sedere a capotavola e così mi trovo a tradurre una poesia letta in coreano. Lo faccio, doppia traduzione. Prima in italiano, poi tocca leggerla in spagnolo. Mi viene voglia di metterla qui, il mio primo poema:
Trema il cielo questa notte
Ti chiedo di rimanere
Non per sempre
Solo un poco, qui
Ho ancora molte cose da dirti
E molte ne voglio sapere da te
Piccola, piccola rimani qui
Va bene, ti accompagno al treno
Il capostazione ha già dato il segnale
Piccola, piccola affrettati
Non vengo con te
Non ti aspetterò
Non pregherò per te
Però io so.
Chissà cosa diceva il poeta coreano.
E poi dovevo spiegare cosa significassero parole antiche o sconosciute. Come ‘Linarai’. Facile: ‘Mettersi in fila. Una coda per prendere una barca’.
Una poetessa cubana legge un’elegia per un soldato texano morto in Afghanistan. Anche lui, come un altro soldato mezzo secolo fa, suonava la chitarra.
Un altro poeta, giovane, dice: ‘Io sono l’altro, ma non se l’altro sono io’. Cosa ne penserebbe Arthur?
Come faccio a raccontarvi del ritmo della poesia che scorre per le strade ben pettinate di Granada?