Testo e foto di Maria di Pietro/
“Gonfiaggio ruote 1 euro”.
Il cartello che vidi la prima volta che mi fermai fuori la bottega di Riccardo.
Avevo le ruote della bici completamente a terra. Mi sembrò strano leggere che gonfiarle aveva un “costo” , non ho mai gonfiato una ruota di una bici nella mia città, ( utilizzarla tra le strade della periferia sarebbe stato puro autolesionismo), solo quelle di un auto, e quando chiedevo “le devo qualcosa” in cambio mi veniva sempre detto “ se volete offritemi un caffè”.
Qualche giorno dopo comprai un piccolo gonfiatore da tenere in giardino, così che la mattina avrei tranquillamente potuto gonfiare da me le ruote della bici prima di ogni uscita.
Sono passati molti mesi da allora, e confesso che ricordo di gonfiare le ruote solo quando sono già in strada, puntualmente quindi, sosta da Riccardo.
Uomo silenzioso, sguardo dritto verso il suo dovere, poche parole se non quelle che gli vengono chieste. Ad ogni sosta scrutavo tra i raggi che si moltiplicavano quasi incastrati nell’appoggiarsi l’un l’altro delle numerose biciclette.
Cercavo quelle con i freni a bacchetta, che sempre mi hanno incantato conducendomi ad immaginare un’altra Maria degli anni trenta passeggiare tra i vicoli stretti di chissà quale paese o città.
Quando ne trovavo una, rigorosamente non era in vendita.
Era lì per qualche riparazione, o di quelle che Riccardo custodisce gelosamente come quella del suo papà agganciata al soffitto.
Un giorno entrai all’interno della bottega, incuriosita dalla porta esterna di legno consumata dal tempo, le striature erano anni trascorsi, come il vetro rotto tenuto insieme dal nastro adesivo che aveva preso lo stesso colore brunito della porta. Non potevo soltanto gonfiare le ruote in quella bottega, sentivo odore di storia.
Il mio fiuto non m’ingannò, c’era un piccolo mondo ad accogliermi, gli anni trenta appiccicati ai muri e quelli del duemila quindici tra le bici moderne sul pavimento.
Un’enorme cassettiera di legno a muro con vetrine in vetro che arrivano al soffitto, raccolgono tutti gli attrezzi da lavoro e gli accessori delle bici. Un arredamento che sopravvive dai primi del novecento, perché la storia ha radici che iniziano proprio in quel periodo.
L’attività di vendita e riparazione di biciclette fu avviata nel 1905 a Pistoia in Via Cavour da Severino Cecconi. Nel 1929, subentrò la moglie Pia; il negozio fu poi espropriato nel 1933 per realizzare il Palazzo delle Poste. L’attività fu trasferita in via Palestro e gestita, a partire dal 1964, da Giulio Romoli, il padre di Riccardo.
Devo ringraziare le mie ruote sgonfie per aver scoperto di poter ammirare un luogo che è testimone di almeno cento anni di vita trascorsa in bicicletta, quel periodo in cui l’Italia ancora priva della sua Fiat 500 e Vespa special, sognava di libertà in sella a una bici.
Operai, contadini, maestri, preti, postini e innamorati in movimento su due ruote.
Ci sono foto di vecchi ciclisti, adesivi e stemmi con le ali e la corona Edoardo Bianchi, ma vicino ad un telefono da parete, in bianco e nero, Riccardo mi indica un giovane seduto all’esterno della bottega “questo è mio padre”.
In quel momento il tempo si è catapultato nell’altro mondo, e lo sguardo sgranato dal tempo di una stampa, di quell’uomo giovane di solo diciassette anni, è uno sguardo ignaro di un tempo che sarebbe stato incorniciato e raccontato da suo figlio con i baffi bianchi, ad una donna che scattava un’altra fotografia.
Quando ho chiesto a Riccardo come ha iniziato a fare questo lavoro, mi ha risposto che gli era capitato, osservare il padre da bambino era un gesto naturale, come lo era per lui smontare e rimontare oggetti. E’ accaduto, e continua.
Allora gli ho chiesto se ne fosse felice, di questo lavoro piombato addosso, e lui non ha esitato a rispondermi che senza la pazienza e la passione verso quei gesti acquisiti e fatti suoi, non avrebbe mai potuto trascinare nel tempo quel mestiere.
Nulla è antico e nuovo, è presente quello che si continua a raccontare, imparare e tramandare, ancorati ad una passione.
In fondo come afferma Augè “andare in bicicletta vuol dire imparare a gestire il tempo…il tempo lungo degli anni che si accumulano”.
Quante cose mi sono sfuggite la prima volta che mi sono fermata dinanzi a quel cartello “gonfiaggio un euro”.
In quella richiesta, c’è tutta la dignità, la necessità di non scomparire, senza aspettative onerose, ma quanto basta per continuare a ricordare e fare tesoro non solo di mestieri che potrebbe scomparire, ma soprattutto di anime e storie che la velocità dei nostri tempi, ingenuamente crede di non aver bisogno.
Le storie hanno un prezzo, viverle.
…“Sarebbe bello se la bicicletta potesse diventare lo strumento silenzioso ed efficace di una riconquista delle relazioni e dello scambio di parole e sorrisi!”