Testo e fotografie di Francesco Parrella

È ferma sull’uscio di casa, in piedi con le spalle appoggiate alla porta, ma a differenza della sua vicina di fronte che consuma l’attesa seduta su uno sgabellino rosso da bar lungo il margine della strada in salita con la testa china sul suo smartphone, lei ti cerca con gli occhi, e con lo sguardo segue i tuoi passi pronta al minimo cenno ad aprire la sua casa e le sue cosce. Poi gli passi accanto, ma non bisbiglia parola. Le parole qui non servono, se non a contrattare il prezzo per «soddisfare le proprie voglie». Fabrizio De Andrè la Città Vecchia, il centro storico di Genova, l’ha raccontata magistralmente in tanti pezzi. E, percorrendo le stesse vie descritte decenni fa dal cantautore genovese pare che nulla sia cambiato. Oggi come allora per via del Campo o su per le Vigne a ridosso di via San Luca, i caruggi (i vicoli) pullulano di prostitute, tante transessuali (qui vive la comunità trans più numerosa d’Italia), e la «bocca di rosa» del terzo millennio ha l’a ccento colombiano, ecuadoregno, marocchino o senegalese. Le stesse etnie di immigrati che abitano in gran parte questo dedalo di stradine che corrono da est a ovest in questo spaccato di città tra il mare e la collina dove le vite degli «ultimi» hanno ancora una volta la pelle scura, come i vicoli «dei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi» perchè «ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi.