Non sono una persona da prima linea, non “urlo” nelle piazze o nei social.
Non ostento bandiere o religioni, sono solo un fotografo che ama il proprio lavoro
e che ama viaggiare per raccontare storie a persone che vogliono ascoltare/vedere.
Come fotografo e “artista” prendo comunque posizioni ferme e decise.
Come fotografo racconto. Come “artista”, il mio senso morale ed etico, mi induce a descrivere con progetti personali, il mio pensiero, le mie emozioni per provare a destabilizzare preconcetti.
Giuliano Radici
OUR DREAM
Fotografie _ Giuliano Radici
Testo _ Flavio Alagia
Volti e storie: dall’Africa alla Val Trompia siamo tutti migranti e sognatori
di Flavio Alagia
I pendii dell’Alta Valle Trompia sono celati da una sottile nebbia, gelida e pungente, mentre allestiamo il set per lavorare con nostri nuovi soggetti. Il primo a offrirsi in pasto alla macchina fotografica si chiama Unity. Ha solo 18 anni, arriva dalla Nigeria. Vorrebbe fare il pittore, ma nel suo inglese frammentario non si capisce bene se intende fare l’artista o l’imbianchino. Sfugge spesso al mio sguardo chinando il capo verso il basso, i gesti sono incerti, trascende facilmente dalla timidezza a un vero e proprio timore. Lo segue Simon, sorridente e affabile. Vorrebbe tornare a guidare i camion come faceva in Ghana. Kwasi parla in phi con un suo compagno mentre risponde alle mie domande, con l’inglese fa un po’ fatica e passa dal timido al risoluto a seconda della facilità con cui trova le parole per offrire le informazioni che gli chiedo. Francis non smette più di scrivere quando gli porgo il foglio con gli spazi da compilare. In Nigeria andava a scuola, vorrebbe continuare a studiare per diventare giornalista e si mette a ridere quando cerco scherzosamente di dissuaderlo. Poi arrivano Sadoh, Ezekiel, Siaka, Seraphine…
In tutto sono in 20, tra i 18 e i 34 anni. Sono arrivati all’hotel Al Cacciatore di San Colombano, frazione di Collio, Brescia, la sera del 28 agosto. Ad attenderli c’era un centinaio (oppure il doppio, a seconda di chi fornisce i numeri) di persone capeggiate dal sindaco di Collio, Mirella Zanini, eletta con la Lista Civica Alta Valle Trompia e fortemente contraria alla microaccoglienza sul suo territorio. La protesta, che secondo gli organizzatori voleva essere pacifica, non razzista e orientata non contro le persone ma contro il sistema, è culminata con insulti xenofobi, minacce di incendi e un sasso tirato contro la finestra che ha infranto un vetro, fortunatamente senza conseguenze per l’incolumità degli ospiti.
Circa sei settimane dopo siamo arrivati noi, il sottoscritto trascinato dal fotografo Giuliano Radici, presidente dell’associazione 7 Milamiglialontano con la quale ho partecipato a una tappa del progetto itinerante 7MML”around the world” 2014-2015. Partiti da Città del Capo dovevamo raggiungere Malindi in macchina attraversando cinque frontiere africane. In quell’occasione Giuliano mi aveva già reso parte del suo progetto fotografico, “Who I Am”. Ogni giorno fermavamo una persona diversa affinché ne facesse il ritratto fotografico, mentre io con pochi scambi di battute cercavo di coglierne un’impressione da trasmutare in un breve testo. E poi il nostro soggetto veniva invitato a scrivere pazientemente su un quadernetto il suo nome, l’età, la città di origine, e infine la risposta alla domanda più importante: qual è il tuo sogno?
Desideri, paure, incertezze, ambizioni, convinzioni e bisogni venivano cristallizzati in poche parole su quel quaderno che giorno dopo giorno si infittiva di storie, vite, brecce verso mondi diversi e lontani. Eppure in quell’ultima riga i personaggi che popolavano il nostro racconto apparivano tutti simili, tutti parte di un’unica famiglia, la nostra famiglia. In quell’ultimo sforzo emotivo e intellettuale ci riscoprivamo tutti preda delle stesse esigenze, delle stesse fragili aspirazioni. All’epoca eravamo noi i migranti, viaggiatori dalla pelle chiara la cui ingombrante presenza non trovava facilmente spiegazione in un teatro i cui attori erano spesso occupati ad assicurare la propria sopravvivenza con gli scarsi mezzi a propria disposizione. Eravamo noi ad attraversare il continente in cerca di volta in volta di un un passaggio verso nord, verso la prossima nazione, destinati all’Europa, alla rassicurante comodità da cui eravamo fuggiti in cerca di avventure. Sfilavamo di fronte a sguardi increduli, talvolta curiosi e accoglienti, talvolta celatamente ostili. Eravamo noi il motivo delle domande viscerali che inevitabilmente suscita ogni volto nuovo apparso nel proprio ambiente domestico. Chi sei? Che cosa vuoi? Quando te ne vai?
Quando ha sentito quello che stava accadendo a San Colombano, Giuliano ha avvertito che il suo progetto non era ancora ultimato, che c’erano ancora storie e sogni da raccontare, famiglie da riunire, volti da esplorare. Ci siamo diretti in Val Trompia senza riflettere su come i ruoli si fossero paradossalmente invertiti tra noi e i nostri soggetti. Ora erano loro i migranti, gli intrusi venuti nel nostro Paese a insinuare dubbio e insicurezza. Su di loro ora pesava il compito di offrire rassicurazioni e garanzie prima ancora di aver avuto modo di capire a cosa fosse dovuta la paura che suscitavano.
Ciononostante quando arriviamo in Val Trompia un po’ migranti continuiamo a sentirci anche noi. In questi borghi adagiati sui pendii alpini dell’Alto Bresciano i volti, sempre gli stessi, si girano all’unisono quando scorgono il diverso, lo sconosciuto. Ma l’istintiva perplessità dei volti lascia ben presto spazio a una naturale cortesia tipica delle comunità montane. Saluti cordiali anche tra sconosciuti, la porta tenuta aperta per far entrare chi segue, chiacchiere sul tempo mentre si beve il caffè appoggiati al bancone del bar. E non è il fatto che i nostri volti non sono poi così diversi ad attivare l’innata gentilezza a cui questa comunità è sempre prona. Se mai, è proprio il fatto che un volto noi ce l’abbiamo. Nessuno lo metterebbe in dubbio.
Quei venti ragazzi chiusi in un albergo in attesa di un visto per continuare il loro viaggio, loro no, ancora non hanno un volto. E come loro migliaia di richiedenti asilo sparsi per tutta la penisola, continuano a non avere un volto, né sogni, né aspirazioni. Sono la massa scura, l’incognita da temere, il nuovo, il diverso. E contro una massa sconosciuta è facile degenerare fino all’insulto razzista, il lancio di sassi, le minacce di incendiare l’albergo.
Ecco perché hanno bisogno di un volto. Ecco perché abbiamo bisogno di incontrare i loro sogni. Che poi sono anche i nostri. I sogni di ogni migrante. I sogni di tutti.