Testo e foto di Francesco Parrella
In metropolitana s’impiega una mezz’oretta dal centro di Parigi al comune di Saint Denis, alle porte della città. La linea azzurra della metro è sempre affollata durante la settimana fino al capolinea di Saint Denis. O meglio di Saint-Denise-Universitè. Qui infatti nel 1980 è stata trasferita l’Universitè de Vincennes diventata poi Universitè di Paris VIII, che oggi conta oltre 20mila studenti.
L’entrata alla cittadella universitaria specializzata in scienze umane e della cultura è a qualche passo solamente dall’uscita della metro. Per arrivare all’abitato bisogna invece camminare un po’, o aspettare qualche autobus che quando passa permette in cinque minuti di percorrere la strada a scorrimento veloce che separa la metro e l’Università dal centro. Ma sono pochi sia i pedoni che s’incontrano, sia le persone ferme ad aspettare il bus. Chi vive qui, si sposta in auto o in moto, anche per via degli spazi che sono più larghi. Il mercato è il primo posto affollato che si vede raggiungendo il centro dalla metro. Un enorme capannone dove si vende un pò di tutto. Ed è qui che passano la mattinata molte casalinghe, donne di famiglie immigrate impegnate a fare la spesa in giro coi loro abiti tradizionali colorati. La maggior parte di chi negli anni è arrivato a Parigi dal Maghreb o dall’Africa Occidentale ha trovato in questo comune prima che altrove una sistemazione. E’ un quartiere difficile. Lo si è visto nel 2005 quando le rivolte nelle banlieue iniziate a Clichy-sous-Bois si sono subito estese a Saint Denis, o in questi giorni dove, dopo gli attentati terroristici della settimana scorsa, una donna si è fatta saltare in aria pur di non consegnarsi alla polizia. La distanza tra immigrati e società francese traspare in superficie e ha diverse forme.
In una piazza appena ristrutturata, con un monumento ai caduti e affianco deposta una corona di fiori col tricolore, l’unica persona seduta su d’una delle panchine nuove di zecca è una vecchietta francese che si concede una pausa nel tragitto che dal supermercato porta verso casa. La maggior parte, la popolazione di colore, preferisce ritrovarsi piuttosto all’esterno di questo spazio ovale. Poi ci sono i controlli che la polizia, soprattutto quella in borghese, fa per le strade, con armi e fucili ben in mostra e modalità dove in evidenza è soprattutto l’aspetto punitivo della forza pubblica. A leggere i manifestini attaccati sui muri c’è vivacità per fortuna anche nelle associazioni, nei gruppi d’ascolto, tra i volontari, che qui sono impegnati in attività sociali e provano a migliorare almeno il quotidiano.
A differenza di Husby, il popoloso sobborgo di Stoccolma in Svezia, il Paese europeo che mezza sponda sud del Mediterraneo vorrebbe raggiungere, fatto di edifici monoblocco e casette in legno colorate di rosso, o più spesso di giallo come il colori della bandiera, e dove i migranti vivono nell’aperta campagna attraversata da assi autostradali che hanno la stessa età del loro quartiere, a Saint Denis l’età del comune è più antico delle sue autostrade. Basta passeggiare per i lunghi viali che dallo Stade de France, il più importante della Francia, inaugurato ne 1998, corrono paralleli da nord a sud per incrociare palazzi di metà Ottocento, o monumenti storici in stilo gotico come la cattedrale coi suoi 500 anni di storia che ospita al suo interno le spoglie dei sovrani francesi.
Filippo il Bello, Giovanni il Buono ma anche Filippo V il Lungo trovano tra queste mura sepoltura. E pure Carlo Martello, vincitore della Battaglia di Poitiers (732 d.C.), è stato sepolto in questo pezzetto di Francia come Maria Antonietta sposa di Luigi XVI, condannata a morte dal Tribunale rivoluzionario e ghigliottinata nel 1793. Il compositore e musicista belga Pierre de Geyter, autore dell’”Internazionale” ha vissuto in questo paese, profugo dal Belgio perché perseguitato come pericoloso rivoluzionario, e qui è morto nel 1932.
In questo comune che porta il nome del patrono della città di Parigi si trova anche il Musée d’Art et d’Histoire. A marzo del prossimo anno il museo ospiterà l’opera della video artista Sylvie Blocher, Les mots qui manquent.