di Andrea Semplici
Ho visto un uomo con una camicia rossa e i pantaloni bianchi. Stava dormendo, dietro una vetro sporco del tempo passato. C’erano vecchi orologi abbandonati al loro destino davanti a lui. E rotelle, ingranaggi, minuscoli oggetti in metallo.
Roberto ha settanta anni.
Dormiva su una vecchia sedia a dondolo di legno in equilibrio incerto, i piedi appoggiati al banchetto di lavoro. E’ un orologiaio, Roberto. Un loculo scuro di un metro per due al mercato di Granada. Ci sono altri orologiai lungo la strada. ‘Troppa concorrenza’, mi dirà poi Roberto. Ma prima deve svegliarsi. Enrique, silenzioso, aveva cura del suo sonno. Non lo vuole disturbare. Ma lui ha un sobbalzo, trova un equilibrio, ci guarda sorpreso.
Un orologiaio della strada si era arreso di fronte a una pila introvabile. L’orologio non funzionava.
Roberto cerca una pila che non esiste. Il mercato e la sfrontatezza della Swatch gli è sconosciuta: nessuna pila può adattarsi al piccolo orologio, bisogna andare in un negozio svizzero. Lui prova a sfidare la forza di una multinazionale: cerca la pila. Manda Enrique a cercarla non so dove. Scrive, su un foglietto, con grafia incerta, che cosa vuole ed Enrique va. Per due volte. Va e torna, sbaglia una volta, va ancora. Ma la pila non esiste. Roberto non si rassegna.
Mi siedo al posto di Enrique. Su uno sgabello di plastica rosso. E ascolto. Con questo lavoro, Roberto ha cresciuto sette figli. Ha cominciato a quindici anni. Prova a contare i nipoti: quindici. Ma non ne è sicuro, qualcuno ne dimentica. Ha uno smartphone (da qualche parte, la ‘modernità’ entra nella tua vita, anche in un loculo del mercato di Granada) e fa scorrere le foto dei suoi figli già uomini e donne. Con macchine e vestiti a festa. Cravatte e scintillii. Come hai fatto, Roberto?
Microframmenti di orologi, pinzette consumate, attrezzi dispersi, il neon a illuminare il banchetto, non c’è spazio qui. Alle nostre spalle, un pastore evangelico grida come se gli avessero infilato una spada nella schiena. Le sue grida sono terremoti, la sua gola è raschiata da un grattugia. Roberto fa una smorfia e chiede: ‘Di che religione sei? Io sono cattolico’. Poi prova a contare nuovamente i nipoti: ‘Quanta gente da un solo uomo’. Dimentica la moglie, Roberto.
Torna Enrique con le nuove pile. Roberto compie inutili tentativi. Testardi, cocciuti. Fanno gli orologi troppo piccoli. La pila non entra, prova a misurare con gli occhi, deve convincersi. Manca un decimo di millimetro. Spinge con le dita la pila. Niente da fare, gli sfugge dalle mani, cade per terra. Mi chino a cercarla. Sul pavimento ce ne sono almeno altre tre. Lui si piega dal suo sgabello, io sono a quattro gambe. Non c’è spazio. Sorrido. Lui sposta il neon. Facciamo entrambi finta di aver ritrovato la pila.
Roberto cerca il tempo, un tentativo, una scusa: ‘Provate a ripassare domani’.
Il pastore evangelico sta facendo tremare le pareti di cartone dei loculi del marcato, le donne preparano pentoloni di cibo, monumenti di chicharrones mi fanno venire l’acquolina in gola.