Testo e foto di Francesco Parrella
Si ferma a metà percorso in una piccola stazione di campagna. Passano venti minuti e il treno è ancora fermo. Fa caldo. Anche nelle carrozze. Tanti scendono a fumare sulla banchina. Qualcuno prova a capire perchè il treno non riparte. “C’è da dare la precedenza ad un altro treno“, appura un passeggero da altri passeggeri. “Forse un guasto al motore“, dirà più tardi qualcun altro. A bordo intanto pochi sembrano stupirsi della lunga sosta. “Farà solo un po’ tardi“, dice rivolta ad una coppia di turisti nordeuropei preoccupati del ritardo una signora del posto seduta affianco. Quando l’Intercity riparte è passata un’ora, e quattro da quand’è partito dalla stazione di Salonicco. Per Atene ci vorranno altre due ore.
Nella carrozza fa sempre caldo. L’aria condizionata è al minimo e la differenza con l’esterno non è poi tanta. Di fronte c’è una vecchietta, la sola che riesce a dormire. Altri leggono, tanto che nella carrozza ci sono più libri aperti che smartphone. Intanto col sole che inizia a calare si può finalmente guardare il paesaggio. Un’ora fa pianeggiante, con fattorie all’orizzonte, paesini, chiese di campagna. Ora il treno è su una montagna. I binari corrono lungo i tunnel ma soprattutto all’esterno dei costoni rocciosi che si susseguono. La vista dal finestrino vale da sola il viaggio.
L’Intercity arriva alla stazione centrale di Larissa che è ormai sera. All’uscita c’è subito l’ingresso alla metropolitana che permette di raggiungere facilmente ogni angolo di città. Alla stazione di Omonia scendono in tanti, anche molti turisti attratti dai prezzi bassi degli alberghi. Uscendo s’incrociano solo rivendite ambulanti di biglietti della lotteria. L’omonima piazza in superficie è un emiciclo da cui si diramano a raggiera larghi viali. Da qui in dieci minuti a piedi si arriva a Syntagma, in cinque al Museo nazionale, in una mezz’oretta all’Acropoli. Nonostante la posizione centrale Omonia è un quartiere ‘difficile’. Lo si vede già da alcuni palazzoni di quindici piani da cui hanno portato via anche porte e finestre. Prima della crisi economica ‘esplosa’ nel 2009 qui c’erano uffici di banche e società finanziarie, si legge ancora su qualche insegna penzolante.
Fa ben sperare vedere operai al lavoro anche ad agosto su un edificio che si affaccia sulla piazza. “Alcuni alberghi tra Omonia e il vicino quartiere Vittoria che avevano chiuso i battenti con la crisi, stanno riaprendo o hanno già riaperto: non ospitano più turisti ma si sono trasformati in centri di accoglienza per i profughi”, racconta un’esercente. Con la progressiva chiusura delle frontiere molti rifugiati da mesi non possono più raggiungere attraverso la rotta balcanica il Nord Europa e rimangono in Grecia, ad Atene soprattutto. La maggior parte sono siriani in fuga dalla guerra, ma anche iracheni, afghani, curdi. Tanti sono giovani, alcuni portano i segni visibili della guerra: cicatrici, amputazioni. Molti trascorrono la giornata in piazza, seduti, e quella di Omonia è tra le più affollate. Sull’emiciclo campeggia un gigantesco cartellone turistico con scritto ‘Welcome to Greece!!!’, e l’immagine del Partenone sullo sfondo. L’Acropoli sebbene vicina vista da qui appare piuttosto lontana. A tarda sera, poi, con la chiusura anche della metro, il quartiere diventa terra di nessuno, con le strade che si riempiono di prostitute, senzatetto, e qualche ubriacone che sbraiterà tutta la notte.
L’Atene turistica si ritrova ai piedi dell’Acropoli: Plaka, Psiri, Monastiraki. Le vie, affollatissime di giorno di turisti, di sera dopo la chiusura dei negozi si popolano anche di giovanissimi greci usciti a divertirsi, che, a tutto vogliono pensare, fuorchè alla crisi. A quella ci pensano già gli adulti.