Testo di Claudio Simbolotti e foto di Giuliano Guida

Pochi chilometri e siamo già in Umbria, imbocchiamo il bivio per Monteleone di Spoleto. Il suggestivo ed affascinante borgo medievale si distingue già in lontananza mentre la strada sale, dolcemente, verso quota mille. Varchiamo l’antica porta d’entrata della prima cerchia muraria e procediamo lentamente sul breve viale centrale, catturando momentaneamente l’attenzione dei presenti. Parcheggiamo e ci addentriamo per la parte più arroccata dell’antico castello, dove domina la torre dell’Orologio. L’impressione che abbiamo è di essere in un luogo incantevole, ben curato, la pietra costituisce il materiale esclusivo di costruzione, dando così a tutto l’insieme quel tocco di antichità ed autenticità. Ci viene da dire che l’Umbria è sempre una piacevole scoperta, una regione che ha saputo mantenere e valorizzare il suo bel patrimonio storico ed artistico. Che il paesino, nonostante i suoi pochi abitanti, circa 600, sia comunque vivo, lo percepiamo facilmente osservando il viale principale, bimbi che giocano a pallone, negozi aperti e persone che camminano e si fermano a chiacchierare. Angelo arriva su un monopattino elettrico, e da subito ci sembra un personaggio particolare, ha visto Giuliano fotografare ed istantaneamente ci rivolge la parola. “Guardate queste, le ho fatte con un drone”, fiero ci mostra delle stupefacenti foto e video di Monteleone dall’alto, ha quasi dell’incredibile la nitidezza, il fascino e la risoluzione delle immagine, vista così ci appare ancor più suggestiva. Parliamo del nostro viaggio e a quel punto Angelo ci invita a passare nella sua officina. Le sorprese sono solamente all’inizio, in quel garage che funge da posto di lavoro ma anche da “camera dei giochi” di un adulto che giustamente coltiva con amore e passione i suoi hobby, protetta e curata si trova una rarissima ed originale auto d’epoca, una aprila lancia ministeriale, a cui fanno compagnia due fiammanti Fiat 500. Angelo, appassionato di auto, foto e video, ci rivela che se l’è sistemate e rifatte da solo spendendoci una fortuna, ma dalle sue parole traspira l’affetto e la dedizione che ha per le sue auto e le sue abilità.

La strada è tutto un saliscendi con vallate e monti verdeggianti, è in questo scenario quasi idilliaco e desertico che giungiamo a Poggiodomo, uno dei più piccoli centri della regione. Il paese ci sembra comunque rilassato ed abitato, con cani che gironzolano e gatti sulle finestre, anziane che preparano il pranzo e graziose insegne in legno delle botteghe.

Una rapida e lunga discesa, che ci rivela di essere saliti di quota, ci costringe a qualche sosta per far raffreddare i freni a tamburo che hanno ormai iniziato a fischiare. Torniamo su un’arteria principale, e le auto ma anche i camion ci sfrecciano vicini, non abbiamo alternative, finché nella vegetazione compare il cartello di Biselli.

Lo stretto viottolo sterrato ci crea qualche difficoltà, ma Carolina avanza fino ad uno slargo dove la parcheggiamo per proseguire a piedi gli ultimi trecento metri, inaccessibili ai mezzi a motore. Il paese fantasma di Biselli, antica frazione di Norcia, si staglia su uno sperone di roccia e si presenta avvolto da una fitta vegetazione, i primi due edifici alquanto danneggiati hanno le pareti ricoperte e l’unica stradina che lo attraversa ha l’erba alta. Immobili abbandonati, entriamo a curiosare, calcinacci e resti di mura sparsi sui pavimenti, un po’ di immondizia, uno presenta sale affrescate, in un altro troviamo un vecchio forno, qualcuno è puntellato e messo in semisicurezza molti altri sono oramai ruderi. Proseguiamo, le erbacce sono sempre maggiori, alla fine del sentiero percorribile raggiungiamo un grosso caseggiato in parte restaurato che ospita in una porzione un’interessante chiesetta. Sono ancora visibili i dipinti murari che l’abbellivano, qualche malconcia panca riempie la saletta, appare evidente come opere di ripristino siano state effettuate non troppo tempo fa e vi sono abbandonati anche abiti da lavoro. Lo stesso edificio, costruito a più livelli, presenta altre vie d’entrata che sono però chiuse con portoni nuovi e molto resistenti. Ci chiediamo, se terminati i lavori sia rimasto tutto in abbandono o se qualcuno ci venga ad abitare sporadicamente, quest’ultima tesi è supportata soprattutto da un’altra piccola casa, nel cui giardino i segni di una presenza umana appaiono incontrovertibili. La torre, che domina la collina sopra di noi e che evidentemente rappresentava il nucleo dell’originaria struttura castellare di Biselli, non è assolutamente raggiungibile.

Appennino, estate 2016, Giuliano Guida

Appennino, estate 2016, Giuliano Guida

Appennino, estate 2016, Giuliano Guida

Appennino, estate 2016, Giuliano Guida

Appennino, estate 2016, Giuliano Guida

Appennino, estate 2016, Giuliano Guida

Appennino, estate 2016, Giuliano Guida

Appennino, estate 2016, Giuliano Guida

Da un borgo abbandonato ci spostiamo in uno completamente recuperato. Il duecentesco castello di Postignano, che sorge su un pendio, rimasto disabitato negli anni sessanta e solo di recente, dopo un lungo lavoro, completamente restaurato ad opera di una società di quattro architetti che si erano innamorati del luogo. Oggi la splendida visione che offre l’antico forte dalla strada sottostante è veramente suggestiva ed affascinante, cinto completamente da mura difensive le sue abitazioni sono state completamente rifatte nello stile e materiale originale. Oggi Postignano, che è completamente visitabile ed è anche piacevole farlo, è di fatto esclusivamente una sorta di albergo diffuso, nelle vecchie case sono rinate 60 nuove abitazioni, nell’ex chiesa si svolgono eventi culturali e musicali, in alcune stanze sono allestite delle mostre, pregevole quella sui borghi d’Italia degli anni sessanta, vi sono anche un paio di botteghe di gioielli e divani, un bar ed un ristorante. Va sicuramente apprezzato il notevole sforzo ed impegno del gruppo di architetti che hanno ridato vita al castello e seppur molto bello e seducente l’impressione e la sensazione che ci trasmette è quella di un luogo non reale, una sorta di set cinematografico o di residenza esclusiva. La simpatica barista friulana ci racconta che allo stato attuale sono solo due coppie a vivere in questa tranquillità, cioè loro che lavorano nella struttura ricettiva, che una quindicina di appartamenti sono stati venduti in particolar modo a stranieri, e che sono diverse le persone che soggiornano qui magari in cerca di una vacanza romantica. Contemporaneamente cercano di aprirsi anche al territorio e a chi vi capita di passaggio con l’organizzazione di eventi culturali e di un festival estivo.

Carolina singhiozza, le salite l’hanno stremata, la spia del carburante si accende di continuo, temiamo di restare a secco, con gli ultimi sgoccioli riusciamo ad arrivare al distributore. Un’anziana signora viene a farci il rifornimento e guardando ci confessa candidamente che la 500 è stata l’amore della sua vita, che porta nel cuore una miriade di ricordi ed avventure legate a quell’automobile.

Come spesso capita quando si viaggia senza una meta e solamente seguendo lo spirito e lasciando che l’itinerario si faccia da sé, sono i luoghi a trovarti e non viceversa. Così per pura casualità, e fortuna possiamo aggiungere ora, troviamo da dormire in territorio marchigiano nella frazione Castello di Fiordimonte. Castello di Fiordimonte è esattamente quello che dice il nome, un piccolo borghetto medievale fortificato e protetto da mura, era la residenza dei Cornacuna i signori feudatari che dominavano questa zona. Alessandro, il gestore del B&B realizzato nella casa dei nonni, ci da qualche informazione dicendo che ormai sono solamente 7 gli abitanti che ci vivono e che non vi è più nessun servizio ne attività, e ci indirizza per cena all’agriturismo di Roccamaia. Siamo veramente fortunati, perché il bel e delizioso agriturismo si trova in un altro piccolissimo borgo semiabbandonato. Saliamo per una buia ed irta salita sopra a Pievibovigliana, i minuti occhi di Carolina faticano ad illuminare il sentiero e procediamo quasi alla cieca. Passiamo un primo minuscolo agglomerato di quattro-cinque case ed una chiesa, la nostra destinazione invece è al culmine della strada, dove in mezzo ad altri due-tre edifici abbandonati trova posto nell’unico fabbricato ristrutturato l’azienda agricola. Sono i proprietari dell’attività l’unica famiglia a vivere qua su, gli stabili adiacenti e diroccati recano il cartello vendesi ma anche un interessantissimo progetto di riqualificazione di un istituto superiore della zona. Un primo strano pensiero ci balena in mente, e sarà per l’appunto il primo di una lunga serie di questo viaggio.

Castello, ci offre un’atmosfera suggestiva ed indimenticabile, siamo gli unici in piena notte a camminare per i vicoletti, oltre i nostri passi nessun rumore, temiamo da un momento la comparsa di qualche spettro che dall’età oscura vaga in questa fortezza, e la coinvolgente chiesa chiude questo cerchio magico.

Siamo pronti a ripartire, il borghetto si è animato dei suoi residenti che con difficoltà resistono, sono seduti a chiacchierate davanti la porta d’accesso. “Ormai sono venti o trenta anni che si è svuotato”, “siamo rimasti solo noi anziani”, e, “una volta sì che c’era tanta gente” ed ancora, “in inverno fa freddo e c’è spesso la neve”. Sono pochi ma tengono in maniera eccellente questo paradiso, poi un colpo di clacson, è il camion del fruttivendolo che sta arrivando, più tardi sarà il turno del fornaio ci assicurano, perché sono i venditori a venire da loro e non viceversa.
Carolina è in moto e scalcia per partire nuovamente, la strada per lei è ancora lunga.

Appennino, estate 2016, Giuliano Guida

Appennino, estate 2016, Giuliano Guida