Testo di Enrico Cerrini, foto di Hua Wang
Cosenza, dove il fiume Crati si unisce al Busento, ha una storia millenaria, fatta di intrighi e leggende. Qui, Alarico, re dei Goti, morì poco dopo aver saccheggiato Roma, ormai prossima al collasso dell’impero. Sin da quel momento, si vocifera che il Re barbaro sia stato sepolto insieme al suo tesoro, nell’alveo del fiume Busento. Nel passato, anche recente, molti hanno cercato quell’oro, senza fortuna. Oggi, possiamo ancora osservare il luogo dove il Re barbaro fece costruire un ponte, posto appena fuori il centro storico, dove si scorge un panorama che include davanti la congiunzione tra i due fiumi, poco dietro il centro storico nella sua interezza e complessità, in alto il castello e, più lontane, le montagne della Sila.
La storia recente di Cosenza non è meno affascinante delle leggende passate. Come segnata dalla morte del Re barbaro, Cosenza è stata centro di numerosi intrighi e misteri della politica italiana. Il personaggio politico principale è stato per molti anni Giacomo Mancini, scomparso nel 2002, già segretario del Partito Socialista Italiano negli anni ’70, quando questo era elemento cruciale ed imprescindibile della politica italiana. Da esponente di spicco di uno dei principali partiti democratici, Mancini ha spesso svolto la funzione di intermediario tra le istituzioni e chi aveva scelto la lotta armata. Infatti, fu in stretti legami con quei professori e intellettuali che ruotavano intorno ad Autonomia Operaia e strizzavano l’occhio ai gruppi del terrorismo rosso, senza prenderne parte attiva, come Toni Negri e Franco Piperno. Quest’ultimo fu nominato assessore del Comune di Cosenza, quando il leader socialista svolse l’incarico sindaco durante gli anni ’90. La figura di Mancini, libertario, antigiustizialista e principale fautore della dottrina del dialogo con i terroristi rossi, è quindi controversa. Passato in giudizio da numerose accuse, fu assolto da tutto e nei suoi ultimi anni guidò la città con una giunta dell’Ulivo. Malgrado l’assoluzione, i suoi contatti con i gruppi estremisti ne hanno fatto un punto cardine dei misteri italiani.
Oggi la città è amministrata da un noto architetto, Mario Occhiuto, ma le polemiche continuano. Occhiuto è stato eletto a capo di una coalizione di centrodestra, che racchiudeva personaggi legati a Giacomo Mancini Jr, nipote del vecchio sindaco. Proprio quest’ultimi, insieme ad altri componenti della maggioranza, hanno deciso di sfiduciare il Sindaco tre mesi prima delle elezioni, facendo commissariare la città. Il brusco tentativo di defenestrare il Sindaco, ha favorito proprio Occhiuto, dato che il passaggio del giovane Mancini nel centrosinistra ha scatenato le faide interne al gruppo di opposizione. Il centrosinistra si è così trovato senza candidato sindaco a pochi giorni dal voto, dopo la rinuncia di Lucio Presta, manager dei vip e marito di Paola Barale, indicato come candidato super partes dalle stanze romane del Partito Democratico. Alla rinuncia di Presta, il centrosinistra ha virato su un candidato più prettamente politico, che potesse ricomporre i dissidi interni, ma era troppo tardi. Nel frattempo, Mario Occhiuto reclutava tra le sue file l’ex sindaco Eva Catizone, già pupilla del vecchio deus ex machina e donna forte della sinistra calabrese. Mentre visito Cosenza, Occhiuto sta organizzando una nuova bizzarra giunta con forte effetto mediatico. Questa comprende il sempiterno critico d’arte Vittorio Sgarbi e Padre Fedele Bisceglie, già frate dei poveri e ultrà del Cosenza Calcio, appena uscito innocente da una travagliata vicenda giudiziaria che lo ha reso noto al grande pubblico nazionale.
Dissidi e intrighi politici non sono certo una novità in Italia, paese che ha vissuto una stagione di terrorismo sconosciuta ad altri paesi occidentali. Ma a Cosenza tutto questo sembra essere rimarcato dalla concezione urbanistica della città, che la rende doppia, come se il centro pedonale e il centro storico avessero due personalità diverse, in contraddizione e in lotta tra loro. Il centro pedonale è infatti un coacervo di bar e negozi alla moda che si inseriscono nel contesto urbano, sia sociale che culturale. Corso Mazzini presenta numerose statue di illustri artisti come Burri, Manzù e De Chirico che costituiscono il museo all’aperto, mentre è in fase di costruzione l’opera architettonica imponente e altamente innovativa dove sorgerà il museo di Alarico. Alla fine del corso si intravede una piazza moderna gremita da un raduno di collezionisti di vecchie Fiat 500 che rendono viva la placida domenica mattina.
Dopo pochi metri, attraversiamo il fiume Busento per entrare nel centro storico e ci immettiamo nel viale Telesio, suo punto focale. Questo è in realtà una viuzza dove continuano a transitare le auto, per lo più caratterizzata da abitazioni e garage in stato malconcio. Saliamo lungo il viale che ci porta all’apice della collina che racchiude il centro, dove risiede il Duomo, bell’esempio di architettura romanica che custodisce la tomba di Isabella di Aragona. Nella piazza antistante si intravedono i primi ristoranti e luoghi di aggregazione, mentre proseguendo dietro la cattedrale raggiungiamo la perla dei locali cosentini, ovvero lo storico caffè Bellini. All’interno del caffè si respira un’aria antica ed elegante che stona con il resto del decadente centro storico. Proseguendo, scoviamo una serie di scavi archeologici posti nella discesa che sfiora il duomo. Potrebbero essere interessanti, ma sono ricoperti da un’opaca vetrata malmessa che di certo non ne risalta le vestigia.
Ci allontaniamo per attraversare il secondo fiume, il Crati, e proseguire il cammino ritornando al nostro punto di partenza. Hua si perde nel fotografare quel magnifico panorama, dove quel centro decadente viene dominato dal castello, posto in alto sula collina. Il punto più bello è dove il fiume Crati si incontra col Busento, mentre il ponte di Alarico ci riporta nella parte moderna della città.
La Sila è un’altra terra legata, suo malgrado, a pagine oscure della nostra vita repubblicana. In queste zone fu infatti ritrovata la carcassa di quell’aereo di guerra Libico, di cui, ancora oggi, non si conosce la storia. Anni di depistaggi e mezze verità rendono sempre più verosimile l’ipotesi che quell’aereo cadde alcuni giorni prima del suo ritrovamento, durante un’operazione di guerra aerea fra le forze NATO e quelle della Ghamaryja libica. Un’operazione che, in qualche modo, costò la vita ad ottanta persone innocenti che si inabissarono con il loro areo di linea nei pressi di Ustica. Ma queste, dopo più di trent’anni, rimangono ancora supposizioni.
La nostra prima meta è Camigliatello Silano, uno dei più famosi centri turistici del parco nazionale della Sila. Appena arrivati ci accorgiamo che è una semplice stazione sciistica estremamente affollata da avventori domenicali che vogliono respirare un po’ d’aria pura e farsi una scorpacciata di funghi o di altri prodotti tipici. Dopo esserci gustati un panino nella piazzetta centrale, al riparo dal sole che in questo giorno batte particolarmente forte, ci inoltriamo verso la riserva naturale dei Giganti della Sila. Si tratta di alberi secolari considerati come un giardino privato dai nobili che possedevano quella tenuta, la quale comprendeva un grande podere e una collezione di pini secolari. La riserva è recentemente passata sotto la gestione del Fondo Ambientale Italiano che ne cura la manutenzione e gli accessi, mentre è in fase di ristrutturazione il podere antistante che sarà trasformato in museo. Durante la seconda guerra mondiale, la riserva si è trovata in pericolo perché le truppe inglesi avevano iniziato a deforestare l’area. Fortunatamente, i nobili si opposero allo sradicamento di quello che consideravano il proprio giardino privato e riuscirono a preservare gli alberi più antichi. Oggi, i pini hanno vissuto tra i 300 e i 400 anni, e meravigliano lo spettatore grazie alla loro imponenza e alle loro forme che talvolta appaiono curiose. Se alcuni tronchi sembrano abbracciarsi, altri possiedono grandi cavità.
Dopo la visita, iniziamo a scendere verso sud con l’auto in direzione del lago Arvo, uno dei tanti laghi artificiali che pullulano il massiccio silano. Il caldo inizia a farsi pesante e ci affatica. Noto numerosi percorsi turistici ai bordi del lago, e a Lorica è possibile salire su una piccola barca per girovagare un po’ nell’acqua. Ma stavolta decidiamo di proseguire in auto, percorrere le strade silane e osservarne i bei panorami naturalistici senza focalizzarci su un punto preciso. Percorrendo le strade tra le montagne raggiungiamo Villaggio Mancuso. Il villaggio fu fondato nei primi anni del ‘900 come stazione turistica per gli abitanti di Catanzaro dove gli edifici sono costruiti con uno stile tradizionale in cui risaltano gli assi di legno e le forme appaiono più curiose e interessanti. In particolare, il bar centrale, chiamato “La Rotonda”, è formato da un edificio cilindrico. Anche l’interno appare molto tradizionale ed una simpatica scritta sulla porta del bagno ci dice che questo non è stato ristrutturato perché lì sono entrati, e non si sa cosa abbiano fatto, personaggi del calibro di Benito Mussolini, Sofia Loren e Amedeo Nazzarri.
Quando arriva l’ora di tornare in aeroporto, dopo tre giorni di viaggio ben organizzato e tranquillo, il navigatore del cellulare decide di far innalzare la tensione. Anziché farci percorrere la strada statale, larga e sicura, che ci porterebbe a Catanzaro, prima di immetterci sulla strada a quattro corsie per Lamezia Terme, il navigatore ci dice di virare a destra. Osservando il percorso, la strada appare molto più breve rispetto all’altra e decidiamo di seguire le indicazioni. Mai mossa fu più avventata. In pochi minuti ci troviamo in una piccolissima strada di montagna, che potrebbe essere anche pericolosa, se fosse transitata. Fortunatamente ci siamo solo noi. Dopo che abbiamo assaggiato di nuovo il piacere di una strada ampia e ben asfaltata, inizia una strada stretta e ripida, che sfocia in una parte sterrata. Nello stesso momento, una nebbiolina inizia a crescere all’orizzonte. Proseguiamo finché il navigatore ci indica di svoltare a destra in una strada chiaramente chiusa. Fortunatamente, il caos si dipana quando, dopo pochi metri, noto un casolare abitato. Un signore di mezza età ci tranquillizza. Ci dice che in circa trenta minuti è possibile raggiungere l’aeroporto perché in meno di un chilometro possiamo arrivare agilmente alla strada statale. Questa ci condurrà prima sulla quattro corsie e poi all’aeroporto. Ringraziamo, salutiamo e mettiamo celermente la brutta esperienza alle spalle.
Ce ne andiamo dopo esserci dispersi nella montagna calabra, in un ambiente che ci sarebbe risultato assolutamente sicuro e confortevole se non fosse stata per la pericolosità delle strade scelte dal navigatore che ha attentamente evitato i percorsi migliori. Mentre ci sentivamo dispersi, le radio davano ancora la notizia dell’arresto del boss della ‘ndrangheta Faizzalari, uno dei ricercati più pericolosi d’Europa, ritrovato in un bunker nascosto all’interno di un’altra montagna calabrese, l’Aspromonte. L’arresto sembra ricordarci che in Calabria, come nel resto del nostro paese, sebbene ormai si consumino dissidi e polemiche da operetta, baggianate assolutamente innocue, è ancora vivo quel cuore nero che si manifestava nella Prima Repubblica, sebbene sepolto e nascosto con cura.