Testo e foto di Tommaso Chimenti

I fili sono percorsi per comprendersi meglio. I fili formano gomitoli da imbrogliare, da annodare, in un aggrovigliarsi di parole che se ne stanno sospese ad aspettare di diventare, ritornare fluide e scendere a cornette, svolazzare leggere tra i piloni, a farsi aria ed entrare nelle orecchie, uscire nuovamente da bocche, fare flipper tra i denti. Di infiniti fili e corde e funi e cavi e spaghi è fatta la nostra esistenza, legami da curare, da approfondire, da cercare, da nascondere, da chiamare e richiamare. E le nostre parole scorrono e corrono, saltano e danzano sul filo del rasoio, sempre pronte a ferirci, a cadere nel vuoto, sul filo dell’incertezza. Fili di erba al vento stretti in nodi dalla difficile spiegazione e collocazione, intricati in giochi complessi, in linee caotiche, senza un preciso filo conduttore. Le parole di una città stanno in alto, lì ferme, pronte a cogliere il momento giusto per scivolare come olio nelle tubature, a lisciare i cavi, ad abbattersi come falco in picchiata. Questi fili sono i ricci di una donna formosa che ti strizza l’occhio ad un angolo di strada e non puoi far altro che guardarla e immaginarti la sua vita, il suo passato, l’oggi. Come questi fili sospesi che portano parole come canne al vento, parole di gioia, parole di dolore. Tagliare i fili con il passato comunque non è un buon rimedio per la felicità.