Testo e foto di Tommaso Chimenti

Tu provi a contarli ma non ci riesci. E’ una distesa di blocchi che cozzano con l’idea di bellezza. Fa male vederli tutti insieme, tutti addosso come un pugno. Provi a dare un senso a quest’ammasso di angoli e spigoli, di lati, di cubi freddi. Parallelepipedi tutti uguali, tutti diversi che s’infossano a creare un’onda statica che cancella il paesaggio e ne fa terreno lunare in questa piccola vallata con attorni palazzi e finestre e panni stesi. Vince il grigio e ti svuota dentro, ti aspira senza ripulirti la coscienza. Decidi di camminarci dentro, di percorrerti nelle viscere. Ti perdi nel dedalo dove l’ombra gioca a nascondino con le tue paure. La luce acceca, il buio infreddolisce. Cubi come macigni, come calati dall’alto, come lanciati, come segnali scagliati dal cielo, come frecce immobili. Nel labirinto di queste ombre granitiche tutte uguali altre ombre di altre anime vaganti si muovono, camminano, si perdono, come te.

Alzi gli occhi e il cielo è alto sopra Berlino ma lì dentro le voci sono attutite, il traffico azzerato; solo il cuore pompa e ne senti, chiaro, il battito tra le costole. Cammini e ti sembra di non riuscire ad uscire da questa rete di strade ossessivamente parallele, da queste viuzze maniacalmente perpendicolari, come disegno perfetto matematicamente preciso, straziante nella sua illogica logicità. Un passo ed è ombra, un piede avanti ed è luce che tutto abbaglia, che trafigge le retine strette a cercare di mettere a fuoco l’indescrivibile. Una folata di ghiaccio e uno schiaffo di fuoco. Ti senti in balia, montato e smontato mille volte, perdi il senso, la distanza, l’orientamento, i punti di riferimento. Dove sono? Chi sono? Che è quello che si saranno chiesti, migliaia di volte, ogni singolo prigioniero dei milioni reclusi, umiliati e torturati dentro un campo di concentramento.