Sono appena rientrata dalla Cambogia. Le sei ore di fuso non pesano dandomi l’illusione di avere giornate lunghissime. Sfoglio le numerose foto scattate. Ripenso ad un articolo di Terzani, alle sue parole dopo aver portato con sè ad Angkor i figli con l’intenzione di mettere nella loro memoria i semi di una grandezza con la cui misura avrebbe voluto crescessero e vivessero. Io che sono solo figlia, e che ad Angkor ci vado spesso, resto ogni volta colpita da quella grandezza che mi afferra e solpisce tracce addosso a me. Quei re dai nomi impronunciabili, Suryavarman II e Giayavarman VII, solo per citare i due più arditi, fecero erigere templi di tale bellezza e impressero alle loro pietre un tale senso di universale onnipotenza da lasciare ancora oggi senza fiato. Al tempo stesso la natura, le radici degli alberi, si sono impossessati di molte di quelle pietre perché nessuno scordi di essere solo un granello di polvere, in fondo.