Viaggiando si scrive. Si prende spunto. Cartoline? Forse.
Testo e foto di Tommaso Chimenti
Certo, in mezzo scorre il Fiume. Ricordi dannunziani, qua mal digeriti, ovviamente, dai croati che l’hanno subito come un fanatico dittatorucolo utopico. Poco è rimasto. Città di mare dove veleggia ancorato, si erge bruciacchiato e arrugginito dal Tempo e dalla Storia che gli sono passati sopra come schiacciasassi, chiuso nelle gabbie e inavvicinabile, lo yacht di Tito. O quel che ne rimane. Qui, tra spiagge e voglia d’Europa, si fa fatica anche a nominarlo, Tito. Una nave incrostata, pericolosa e pericolante che la città di Rijeka ha comprato anni fa per tre soldi brechtiani. Nessuno la voleva. Ingombrante il pensiero che ne nasce vedendola, gli aneddoti curiosi che cercano, anche inconsapevolmente, di celare, nascondere, confondere le acque di ciò che è stato.
Cittadina che si espande sul mare ma che, se giri tra le viuzze subito dentro il Korzo, ci immerge nei colori e nell’immaginazione di decine di writers che, spray alla mano, hanno scritto, detto, più che altro disegnato, dato il loro contributo alla vitalità del luogo che, se è impomatato sul lungomare, tra i vicoli gronda tinte e vernici e vita giovane. Ci sta di imbattersi in mosche giganti o balene mobydickiane, in orsi, gatti e sirene, in un fantastico squalo surfista muscoloso e dall’occhio languido e ruffiano, in una barca con la vela che pare un ghiacciolo.
Oppure in questo caseggiato, crollato, distrutto, sembra bombardato, che rimane miracolosamente in piedi, orgoglioso e fiero, nel bel mezzo di un parcheggio. Mura divelte sulle quali montano quattro facce, un teschio e tre uomini di Neanderthal. Dove eravamo e dove andremo, la cenere del prima, la cenere del dopo. Là vita è qui, la vita è un attimo. Sediamo sull’argine del Fiume aspettando di veder passare il nostro cadavere.