A piedi tra la Puglia e la Basilicata, da Ginosa ad Aliano, seguendo le voci del Festival della Luna e i Calanchi. Per studiarsi il cammino una mappa online. Su Erodoto tre episodi seguendo le orme tra campi e viottoli, stradine arruffate e luoghi lasciati.
Testo e foto di Andrea Barzagli e Flavia Coppa
Biscotti al cioccolato, pane e cioccolata, cioccolata sfusa. La luce taglia lo spazio e getta sugli uliveti tonalità di rosa. Al terzo giorno i passi si susseguono con leggerezza, la strada fluisce. Siamo sul sentiero del Basilicata coast to coast, lo percorriamo al contrario, dal mare alla terra arida del meridione interiore. Ci lasciamo Craco alle spalle nella lunga discesa verso ovest. Sotto passato il ponte della provinciale 103 e salito il declivio, il paesaggio si fa lunare, desertico. Non c’è traccia d’uomo all’orizzonte. I pali dell’elettricità spogli dei fili conduttori, segnalano che gli uomini non abitano più queste terre da tempo. Campi sconfinati, curve bellissime, Basilicata corpo di donna.
Il sentiero non è segnalato, a definirlo è l’aratura di un trattore. Chissà se casuale o che si tratti piuttosto di una sperimentazione low cost e sostenibile tutta meridionale che rivoluzionerà la sentieristica. Perdiamo quota, la recuperiamo, la perdiamo ancora. Un fico selvatico ci aspetta in cima alla risalita dal Fosso del Lupo. Questo posto sembra un’oasi nel deserto, l’argilla sta alla sabbia come il canneto alle palme. L’ombra di un fico ci regala la prima sosta, dolcissima. Oggi dosiamo l’acqua da bere con più zelo del solito. Percorriamo territori disabitati per chilometri ed anche i frutti di un fico diventano fonte per dissetarci.
Di nuovo in cammino, masserie e querce abbandonate, un tempo ospitavano pastori, pastore e greggi. Ora nelle prime regna il silenzio degli aratri mangiati dall’erba e le seconde non le pota più nessuno. Aspettano viandanti a ringraziarle per l’angolo di fresco che regalano. Le omaggiamo con la presenza. Un uomo, il primo dopo quindici chilometri. Giovanni è di Sant’Arcangelo, porta quassù le sue pecore al pascolo. Ci dirà che non incontreremo fontane sul nostro cammino. Ne abbiamo ancora tre litri e mezzo ma l’acqua sarà un pensiero silenzioso e costante per tutto il giorno. Confidiamo nelle possibilità di incontro che aumentano nei pressi di una strada asfaltata. Rosa è la donna giusta nel posto giusto; materna, mette sul tavolo una tanica d’acqua da cinque litri ed un succo di frutta. Andrea si bagna la testa alla pompa del pozzo, le ricorda il figlio. Ha una zucchina rotonda in mano, gliel’ha regalata sua zia: la servirà al sugo con la mozzarella, per pranzo.
Un calanco sanguina terra rossa. Rotoliamo lungo la ripida discesa verso la valle del Sauro. Il sole è alto e non avremmo mai voluto percorrere quella stessa traccia nella direzione opposta. Un tratto asfaltato, la targa ringrazia i finanziamenti di mamma Europa.
Tagliamo lungo il campo, il pendio entra ad imbuto dentro un calanco di argilla. Da un lato il filo spinato è basso, ci permette di entrare all’interno, qualche olivo ben potato, un orticello, fichi succosi ammiccano da un albero vicino. Dalla casina al centro della proprietà esce Antonio, dopo un primo momento di smarrimento, che ormai abbiamo imparato a riconoscere, sulla sua faccia torna il sorriso e nelle nostre mani gli agognati fichi. Sceso alla campagna per curare la terra sta per tornare a casa da sua moglie, per pranzo, ad Aliano; scopre le nostre intenzioni, il cammino, e la proposta è automatica: in macchina la nostra meta dista meno di mezz’ora. Ennesimo rifiuto, ennesima sensazione di fare un torto alla gentilezza, non possiamo fare a meno di accettare un breve strappo fino al fondovalle. Due chilometri, qualche chiacchera e scendiamo al lato della Saurina sotto il sole alto del mezzogiorno d’agosto. Le raccomandazioni di Antonio legittimano le nostre intenzioni, bisogna trovare un posto dove far sosta, oggi c’è la controra anche per noi: ombra, acqua e riposo per le gambe. Ci avviamo verso il Fiume Sauro nella speranza di trovarvi acqua in cui bagnare i piedi ma nel suo letto troviamo i segni dell’estate. Secco, resta solo qualche pozza, per giunta occupata dalla mandria di vacche podoliche che ci guardano stordite o, ci piace pensare, incredule. La ricerca dell’ombra ci porta al di là della strada, verso gli eucalipti che spiccano sopra i tetti di una masseria abbandonata, le nostre scarse aspettative vengono spazzate via da quello che si rivelerà, in confronto all’inabitato che ci circonda, un hotel di lusso. Poggiati gli zaini all’ombra, perlustriamo l’aia della masseria: su di un vecchio lavello sbiancato dal sole c’è un tubo di plastica, nero, giro il rubinetto quasi per scherzo. Poco dopo il sole ci scalda la pelle, nudi ci concediamo la prima doccia del cammino: è agosto, sono l’una, l’aria all’orizzonte riverbera di miraggio e noi danziamo prima di abbandonarci al riposo, all’ombra.
Ripartiamo rigenerati. La traccia si allontana nuovamente dalla strada, si lascia alle spalle il ronzio delle macchine, sale, scende, e siamo di nuovo tra le curve dolci di questo paesaggio abbandonato. Il pozzo ha offerto molto, tuttavia non ha riempito le borracce e con il pomeriggio che avanza si fa strada il tarlo: Aliano ancora lontana e l’acqua che comincia a scarseggiare. Niente di pericoloso, intendiamoci, ma non è comunque una sensazione piacevole. Così gli occhi sono sempre più attratti dalle case potenzialmente abitate seppur lontane. All’orizzonte, non c’è anima viva a cui chiedere consiglio. A distrarci mentre saliamo verso il crinale arriva la pioggia, proteggiamo gli zaini come possiamo e ripartiamo, tra buste di plastica e i giubbotti. Bagnarsi i vestiti e la testa tuttavia, è un sollievo.
Il cammino va avanti sul crinale, a nord il pendio scende ripido verso la valle del Sauro, sul fondo la strada, le case e i campi di pannelli solari creano il mosaico che abbraccia le sponde del fiume. Una piccola strada asfaltata sale a tornanti nella nostra direzione, la incrociamo poco dopo, appena in tempo per vedere un furgoncino rosso che sparisce dietro una curva. Ci sembra di aver fatto tardi ad un appuntamento, abbiamo perso un passaggio che stavolta avremmo accettato.
Il nostro percorso punta dritto tra i calanchi ma deviamo verso l’asfalto nella speranza di trovare una masseria abitata. Presto siamo accontentati, superati alcuni cavalli al pascolo, i cani provvedono ad annunciarci ai loro padroni. Dalla porta di ingresso esce un giovane, si avvicina, ci scruta bene e poi ci ascolta. Chiediamo di riempire le borracce, ancora ignari che ce ne andremo portando via ben altro. Al ragazzo fanno seguito Tommaso e Ninetta: portano acqua fredda e a temperatura ambiente. Mentre ci dissetiamo si raccontano: lei è nata in questa zona ci dice a confermare ciò che il suo aspetto aveva già suggerito a Flavia; sopracciglia folte e nere, tipiche della Lucania interna. Lui è arrivato alla masseria da poco, la pelle abbronzata di chi passa molto tempo con la terra, sotto il sole. Vengono a sapere della nostra meta, la indicano: Aliano se ne sta stesa in cima alla salita che, dice Ninetta, da giovane faceva in meno di due ore. La tentazione è forte, potremmo concludere il cammino prima di notte. Mentre facciamo i conti con i chilometri fatti e le energie residue, i proprietari di casa vanno qua è la, c’è una marmellata di more sul fuoco, Ninetta non la perde d’occhio. Quando esce di nuovo ha con sé un grosso pezzo di pane per noi. Anche Tommaso compare da una piccola porticina, mentre eravamo distratti si sono organizzati: due pezzi dei loro formaggi, uno piccante per me, dicono, e uno dolce per Flavia. E pomodorini dell’orto, quasi un miraggio. Il sole che inizia a calare colora di taglio, in ordine, le facce di Flavia, Tommaso e Ninetta in posa per una foto ricordo. Allontanandoci ci chiediamo se abbiano colto quanto questo incontro sia stato bello per noi. Forse si, magari lo racconteranno a lungo.
Ripartire a quest’ora non è facile. Le gambe stanche e gli zaini con i doni che chiamano, giusto il tempo per nasconderci dietro una collinetta e la tenda è piazzata. Del banchetto che ne segue ricordiamo ancora il sapore: pane, pomodorini e formaggio basterebbero da soli a far bella una cena. Alla luce del tramonto, mentre mangiamo, una pastora sfila con il suo gregge sulla collina di fronte, alle nostre spalle il grigio dei calanchi si tinge di arancio. Giornate così lunghe hanno serate brevi. Ci spegniamo.
Il percorso fatto nell’estate 2016 da Andrea e Flavia è stato tracciato anche sul progetto di mappatura “Ammappalitalia” E’ possibile scoprirne i segreti su:
www.ammappalitalia.it/altri-percorsi/ginosa-aliano/