testo di Anna Sida, foto di Matteo Maimone
Non molto lontano da Kampong Chhnang, una delle province di Phnom Penh, in Cambogia, si trovano i due distretti Rorka Bphear e Teuk Phos. E’ qui che trovano spazio piccoli villaggi abitati per lo più da poverissimi anziani emarginati . Sono persone che hanno vissuto e stanno ancora soffrendo per gli effetti del regime di Pol Pot. I Khmer Rossi, dopo aver sconfitto Lon Nol sostenuto dagli americani, entrarono a Phnom Penh con i carri armati il 17 aprile del 1975, costringendo circa due milioni di persone a lasciare la città . Il regime, che aveva l’obiettivo di creare una società agraria completamente autosufficiente, si rese responsabile del massacro di circa un milione e mezzo di persone (bambini, donne e anziani). Nel giro di quattro anni in alcune parti del paese furono costruiti campi di sterminio e molte prigioni. Tra le categorie più colpite, oltre ai monaci, ci fu quella degli insegnanti: bastava indossare un paio di occhiali per risultare sospetto ed essere associato a un alto grado di istruzione. All’interno dei campi i lavori forzati duravano più di 10 ore al giorno con scarsissime razioni di cibo. Non mancarono morti a causa della malnutrizione, del lavoro forzato e della scarsa igiene e assistenza medica. Un terzo della popolazione cambogiana perse ingiustamente la vita nel periodo tra il 1975 e il 1979 e oggi il 50% della popolazione è al di sotto dei 18 anni e gli anziani sono una rarità.
I vecchi reduci dal regime di Pol Pot risiedono come fantasmi all’interno di abitazioni quasi completamente dimenticate. Molti hanno perso parte della loro famiglia, vivono emarginati e soffrono a causa della malattia e della povertà, incapaci di pensare lucidamente a loro stessi. Avendo perso i figli, sono stati costretti a prendersi cura dei nipoti, privi di educazione, assistenza sanitaria e informazione. La povertà è così forte e così presente da innescare un vortice di pensieri negativi.
Sulla strada, tra terra bruciata e cantieri a cielo aperto dove i bambini giocano con ciò che trovano lungo il loro percorso, c’è Cheang Vorn. Cheang è una signora di 89 anni. Il suo corpo parla da solo. I continui scossoni fisici e le medicine sbagliate prese lungo il corso della sua vita le hanno provocato una malattia che la porta a non poter pensare a se stessa.
Neanche un paio di metri dopo si incontra Peang Yat di 68 anni, una donna a cui disabilità blocca l’uso delle braccia e delle mani, impedendole di eseguire qualsiasi lavoro. Non ha nessun fratello o sorella e i genitori sono morti quando lei era più piccola.
In un altro piccolo anfratto di terra e alberi c’è Keo Thol. Keo (tra i 60 e i 70 anni) è nato disabile. I suoi genitori si sono presi cura di lui fino alla loro morte durante il regime di Pol Pot, dopo di che Keo è stato lasciato completamente in balia di se stesso. La sua unica risorsa è una bicicletta-carrozzina che gli permette di muoversi autonomamente nei dintorni. Per sostenersi aggiusta le biciclette di altre persone anche se il suo guadagno è basso se non impercettibile.
Em Sok è un uomo di 78 anni, cieco. Durante il regime, verso i 12 anni, ha iniziato a non vedere più bene a causa del morsi di qualche strano animale o di un virus e non potendo andare dal medico ha perso completamente l’uso della vista, arrivando poi alla rimozione dei bulbi oculari. La madre si è occupata di lui fino a dopo la caduta di Pol Pot e alla sua morte, Em ha iniziato a provvedere completamente a se stesso ricorrendo all’utilizzo degli altri quattro sensi. La sua casa è essenziale: una piccola baracca con un letto, utensili di tutti i tipi sparsi per terra; nonostante non veda, riesce a cucinare e a lavarsi; i suoi amici e vicini, per quanto possibile, cercano di aiutarlo nutrendolo.
Alla fine di un’altra strada sterrata si trova Houng Rean. Houng è una donna di 69 anni che chiamano “la pazza” anche se non denota nessun sintomo di vera isteria. Ha subito delle forti perdite come quella del marito ucciso durante il regime e la perdita successiva di tutti i suoi figli. Il dolore straziante l’ha portata a buttarsi inevitabilmente sull’alcool. Tuttavia è in fase di recupero, non vuole più continuare su questa strada e il suo fisico inizia a dargli segni di cedimento. Una brutta bruciatura fa capolino sulla sua coscia destra a causa di un incidente avvenuto con l’acqua bollente. E’ dolce e triste, i suoi occhi parlano più di quanto si potrebbe immaginare.
Queste persone hanno tutte la fortuna di conoscere Maria Thyda Rath. Maria è una donna cambogiana con alle spalle un passato da contabile in una grande società e per un certo numero di organizzazioni internazionali non governative e locali. Ha notevoli specializzazioni nel campo della gestione finanziaria delle imprese, gestioni delle operazioni delle NGO, gestione delle risorse umane e assistenza alle NGO internazionali e locali. Tiene anche corsi di formazione in lingua Khmer e Inglese in questi settori. Ha sviluppato il progetto di ristabilire e sostenere dignità, rispetto e amore per migliorare la qualità della vita di questi anziani. Ha fondato insieme a Paul Hughes la NGO New Day New Life, un’organizzazione no-profit cristiana focalizzata sui bisogni di questi poveri anziani che vivono nelle remote aree della Cambogia: tramite iniziali generose donazioni da parte di amici, pacchi su pacchi sono arrivati ad almeno 20 persone all’interno di questi distretti, sviluppando così, una vera e propria comunità dedita all’aiuto reciproco, all’informazione sull’igiene, all’incremento dei mezzi di sussistenza e alla cura dei bambini.
Il progetto OUTCAST è stato realizzato grazie all’aiuto della NGO New Day New Life nelle campagne limitrofe a Phnom Penh in Cambogia. L’associazione provvede mensilmente agli aiuti umanitari necessari per la sopravvivenza di alcuni anziani reduci dal genocidio di Pol Pot. Anna Sida e Matteo Maimone sono riusciti a raccogliere alcune testimonianze e a realizzare la storia fotografica che Erodoto ripropone qui in parte.
per maggiori informazioni www.newdaynewlife.ngo/