di Marco Ferrero
Giovanni aveva 78 anni.
Non sono tanti e non sono neanche pochi, soprattutto per una persona che aveva trascorso gran parte della sua vita lavorando alla Fiat, al tornio, allo stesso tornio…
Giovanni non aveva mai avuto mal di testa e non sapeva che cosa fosse il mal di denti. Quando si creava un problema estraeva la causa del male, che così scompariva.
Giovanni, che abitava con la nuora e il figlio da quando l’odiata moglie era morta, non mangiava mai nella sua camera, lui che era discreto e non voleva assolutamente intromettersi negli affari della famiglia che lo ospitava.
Che poi era quella di suo figlio.
Giovanni non aveva mai neppure mangiato una volta nella sua vita la minestrina, perché non gli piaceva, perché gli sembrava che fosse un cibo da malati.
Giovanni fumava il sigaro, lo fumava al contrario perché il fumo non invadesse la stanza.
Giovanni beveva grappa al mattino, solo un sorso – forse per dimenticare l’olio di ricino che aveva ingoiato non volendo prendere la tessera del partito -, ma di nascosto, e quando la nipote prediletta gli chiedeva se al mattino avesse bevuto, lui rispondeva che… assolutamente no…, ma lo faceva con un alito che se si fosse acceso un fiammifero il condominio sarebbe esploso.
Giovanni aveva nella sua camera soltanto un armadio e all’interno, sulla porta, le foto di Marylin Monroe, in costume, come soltanto allora si poteva fare.
Giovanni quel giorno chiese alla nuora, visto che si sentiva un poco stanco, se poteva per favore portargli in camera un piatto di minestrina; aveva voglia di brodo, di brodo caldo.
E le chiese scusa per il disturbo, perché non voleva essere di peso.
Anzi, ogni volta che la nuora andava a fare la spesa, a piedi, le andava incontro per aiutarla e per rendere più leggera la sua fatica quotidiana.
Giovanni era un’anima buona.
Quel giorno, mangiò la minestrina e rimase a guardare dalla finestra, da quel settimo piano delle case Fiat nelle quali abitavano, risultato e premio dei 45 anni trascorsi a lavorare per l’Ingegnere Valletta (che gli aveva anche dato la medaglia d’oro stringendogli la mano); rimase a guardare le auto – ancora poche in quel 1960 – che scorrevano sotto casa, lontane, quasi silenziose vista la distanza.
Giovanni sapeva che dopo circa un’ora sarebbe arrivata l’infermiera, la solita, per l’iniezione che doveva aiutarlo per una respirazione difficile a causa del tornio e della limatura di ferro che aveva respirato per tanti anni.
Decise allora di riposarsi un attimo.
Si distese nel letto, chiudendo però la porta perché sapeva che russava e non voleva dare fastidio; appoggiò il sigaro sul portacenere per evitare di creare danni e rapidamente si addormentò.
Il suo sorriso sereno rimase sul volto fino al momento in cui non chiusero il coperchio della bara.
Ma di certo il sorriso di Giovanni è rimasto intatto fino ad ora.
Marco Ferrero, 55 anni, storico del Medioevo e direttore del Centro di Studi medievali “Ponzio di Cluny” di Vicenza, è pronipote di Giovanni, il tornitore gentile di Mirafiori.