foto e testo di Francesca Duca
Pedalare l’Appennino. È fatica. Un sogno intenso. Sorpresa e paura continue. Basta entrare. Una strada secondaria. E subito vieni proiettato lontano. Nel passato. Di foreste planiziali quaternarie. Popolate di Sughere, Lecci, Allori. Alberi di frutta selvatica. Fichi, pruni, more. O nel futuro. In scenari apocalittici postbellici. Tra case chiuse. Strade crepate. Che scivolano lentamente a valle. Appennino è tutto. Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Il deserto del sale. La steppa. Gli altipiani asiatici. Le cime himalayane. Gente poca. Pecore tante. Vacche. Cani. Pedalare l’Appennino è gioia pura. Cristallina. Smodata.
Appennino. Ti attraverso. Percorro la tua schiena. Quasi fossi un bue muschiato. Nella spuma verde mare. Occhi grano. E girasole.
Grinze terra e sale. Pelle scura. Calce bianca. Coste dure. Vigne. Ulivi. Querce. E Rovi. Vento. Nuvole. Vapore. Appennino. Ti accarezzo. Entro dentro la tua bocca. Quasi fossi un capodoglio. Spiaggiato sulla sabbia. Fiato denso. Il tuo umore.
Appennino. Su di Te. Mi addormento. E sogno.