Testo e foto di Marco Giorgione

È inverno, fuori c’è una pioggia insistente, ed è in una domenica così che scopro qualcosa di molto misterioso e attraente per la mia mente. Un rito religioso che si svolge nell’entroterra abruzzese, prendo tutte le informazioni possibili, non potevo mancare a quell’evento. Fu così che il primo Maggio di due anni fa andai a Cocullo, paesino di 200 anime a pieno regime, situato su un colle in mezzo alle montagne. Qui si svolge un rito molto singolare, in onore di San Domenico Abate, ossia La Festa dei Serpari. 

Arrivo a Cocullo il giorno prima del grande evento, il paese è vuoto, ma sento già nell’aria qualcosa di mistico. Fermo la macchina all’inizio del paese, non si poteva andare oltre per motivi di sicurezza, avevo l’impressione che quel paese veniva condito a dovere per questa festa e dopo moriva e rimaneva in solitudine per un altro anno. Mi incammino per un vicolo e mi avvicino alla piazza, c’è un silenzio assordante eppure c’è gente.

La piazza sembra un ring, di fronte a me ho la chiesetta dove si svolgerà la festa, con cinque vecchi seduti davanti, sulla mia destra un membro della banda musicale con affianco due enormi trombe, sulla mia sinistra una schiera di signori del posto, seduti su un gradino di cemento, alle mie spalle un palchetto e in mezzo alla piazza ci sono io, eccomi qua in mezzo alla piazza di Cocullo, fremevo e sapevo che dovevano accadere grandi cose.  Avvicinandomi a quei signori seduti davanti alla chiesa, faccio subito amicizia con una di loro, dice che lei è originaria di Cocullo, ma adesso vive lontano, a Pescara.

Gli chiedo di raccontarmi un po’ di questa festa, lei innanzitutto mi dice che a momenti sarebbe arrivata sua nipote con il serpente, dopodiché mi racconta che suo figlio è uno dei Serpari e che a fine marzo va nella solita buca in mezzo al bosco per raccogliere sempre lo stesso serpente, tenendolo in una scatola di legno per venti giorni prima della festa e dandogli da mangiare uova soda e topi.  Tutto questo è musica per le mie orecchie, ieri ero in mezzo alla civiltà ed oggi mi ritrovo a parlare di serpenti e topi in un paesino perso tra l’Appennino centrale. Mi sento un po’ circondato, anche se la piazza è vuota, ho paura dei serpenti e sapevo che prima o poi alle mie spalle sarebbe arrivato qualcuno con uno di loro addosso, ma dovevo abituarmi, l’indomani il paese sarebbe stato gremito di serpenti.

La piazza si sta popolando e la gente inizia ad entrare nella chiesa, in poco tempo si crea una lunga fila di persone con un fazzoletto bianco in mano, cercando di capire cosa stesse accadendo, entro nella chiesa disinteressato alla fila e vedo questa anziana donna portare il fazzoletto alla bocca e con i denti e un movimento brusco della testa fa suonare una campanella. E scopro che San Domenico Abate è il protettore dei denti.  Esco dalla chiesa e dopo un paio di giri nel paese decido di andare a riposare, domani sarò presto di nuovo lì.

È il primo di Maggio e che la festa abbia inizio.

Arrivo e parcheggio nello stesso posto di ieri, ma oggi ho uno spettacolo diverso davanti a me. Quella strada vuota è piena di bancarelle, si vende di tutto ma soprattutto panini con la porchetta, di cui qui la gente alle nove del mattino ne va ghiotta. Avevo come l’impressione che la giornata sarebbe stata lunga e faticosa, quindi bisognava ricaricarsi in anticipo.

Continuo la passeggiata verso la piazza, c’è un mare di gente, l’unico Bar del paese è preso d’assalto, decido di prendere un caffè e così mi faccio strada tra la gente, fu in quell’istante che capii veramente dove mi ero imbattuto. Nel girare lentamente il mio caffè ho al mio fianco due signori, sicuramente del posto, con almeno cinque serpenti ciascuno, avevo le loro teste che timidamente si avvicinavano a me. Ho bevuto il caffè più veloce della mia vita. Uscito dal Bar inizio a girare per le stradine e scattare fotografie, curiosa è la banda musicale che appariva e scompariva dalla piazza. Vedo un signore cieco che suona la fisarmonica e canta una canzone popolare amorosa, un ragazzo con due serpenti neri che gli girano sulle braccia, con evidenti morsi, un signore anziano che costruisce cesti di vimini, una bimba con un serpente addosso, tre ragazzi che suonano le cornamuse, un nonno con la bimba sulle spalle, due signore anziane che commentano i passanti.

La folla si infittisce sta arrivando il momento tanto atteso, finita la messa i serpari si riuniscono all’uscita della chiesa per riempire la statua del Santo di serpenti. Dei giapponesi mi spingono per accaparrarsi il posto migliore, io mi posiziono lontano su quel palchetto di fronte la chiesa, dove alla fine dei festeggiamenti si sarebbe esibito “Nduccio”. Ho di fianco a me una signora anziana seduta con le spalle alla chiesa, io in alto sul gradino avevo la vista migliore e lei imperterrita mi continua a chiedere se è uscita la statua del santo.
Dopo un bel po’ di attesa la folla inizia ad agitarsi, la statua dalla penombra della chiesa inizia a farsi luce, i serpenti portati al cielo per omaggiare il santo. La statua arrivata al centro della piazza si cala e scompare tra i serpari, alla sua risalita é ricoperta da una cinquantina di serpenti  che ondeggiano nell’aria, inizia la processione per le strade del paese, con i serpenti che ogni tanto cascano tra la folla e i padroni prontamente li recuperano. Io rimango fermo lì dov’ero, in alto dal palchetto potevo osservare tutto, mi sentivo così impotente davanti a tutto questo, avevo partecipato ad una manifestazione che si tiene da più di trecento anni.

Adesso immagino Cocullo il giorno dopo, in quella piazza stipata di gente il giorno dopo sarebbe ritornato il silenzio.