Di Andrea Semplici
Baalbeck
No, oggi non ho una visione laterale. Non mi chino su un dettaglio, su un margine. La scena è troppo possente. E poi vi è una storia passata. C’è sempre il tempo di mezzo. Davvero adesso gli anni sono ossidazioni che riaffiorano dalla pelle dopo che hai finto di dimenticare per tutto questo tempo. Quanto tempo, direbbe Corto Maltese, guardando le nuvole. Non riuscirò a compiere ogni mio sogno di gioventù. E’ tempo di aprire i libri sugli anni (Hillman, a esempio. Gratitudine di Oliver Sacks…), temo che non lo farò. Per paura. Per non voler sapere, né affrontare.
Baalbeck era un desiderio di quaranta anni fa. Cullavamo follie di rivoluzioni. E credevi che qui, valle della Beqā’, ci fosse l’illusione (e l’inganno) di una rivoluzione. E poi c’era il mito delle pietre di un grande tempio. Ne avevi ascoltato racconti. Cos’altro potevi voler di più nelle piazze degli studenti. Da Woodstock a Baalbeck, dove Joan Baez andava a suonare e, forse, anche Jimi Hendrix.
Baalbeck ha atteso il mio arrivo e ora si prende la scena. E’ eccessiva, Baalbeck (maschile o femminile?). Le colonne sono troppo…le scalinate sono troppo…il podio è il più grande dell’antichità, la corte, i luoghi degli Dei, Venere, Cleopatra, i frontoni caduti, lavoro di secoli, tempio incompiuto, i custodi che puntano il dito sul bassorilievo che raffigura l’oppio. ‘Aiutava i poeti’. La Beqā’, celebre negli anni ’60, per le sue droghe che arrivavano in Europa.
Baalbeck territorio sciita. Qui, a un passo dalle rovine, di Roma lo scintillio di Saydet Khawla, moschea sciita. Segno della loro terra. Bella, lucente, intarsi di maioliche azzurre, calligrafie allungate, riflessi di mille vetri, devozione e, anche, accanto, museo della guerra. Entriamo assieme a un francescano. I guardiani sorridono, invitano. Sediamo sulle stuoie, chiacchieriamo, mentre la preghiera è incessante.
A pochi passi, una chiesa maronita, due donne musulmane e una ortodossa (‘Sono cristiana e basta’) intrecciano lane per altre donne in attesa di bambini. E poi il tempio romano, con i suoi dei ancora vivi; in attesa anche loro. I vicoli di Baalbeck, l’hotel Palmyra e i fantasmi dei suoi turisti ottocenteschi. Le fotografie di Hermann Burchardt, un mercante che ha vissuto qua e ha ritratto solo le persone. Guardava le pietre, ma non le fotografava. Vorrei sapere di più su di te, Hermann. Devo fermarmi qui, darmi in tempo, darsi il tempo, rincorrere il tempo, fare diventare le immense pietre di Baalbeck un’abitudine e fermarsi a fumare (io che non fumo) una sigaretta con i guardiani dalla grande pancia.
Trucco da giornalista, non devo nemmeno fare fatica, c’è wikipedia (la maledizione di wikipedia, che toglie la sorpresa di una scoperta solitaria e faticosa) a ricordarmi Robert Byron e la sua strada per Oxiana (libro dalla copertina marrone, in qualche Adelphi, in qualche casa, nella casa dove non voglio abitare): ‘Baalbek è il trionfo della pietra, una magnificenza …Lo sguardo spazia oltre le mura, fino ai ciuffi verdi dei pioppi dai tronchi bianchi; oltre ancora, al Libano scintillante in lontananza di toni violacei, azzurri, oro e rosa. E poi scende seguendo le montagne fino al vuoto: il deserto, solitario mare di pietra. Bevi l’aria vibrante. Accarezza la pietra con mano delicata. Da’ il tuo addio all’Occidente, se lo possiedi, quindi volgiti a Oriente, turista.’.
Volgiti a Oriente, turista. Era, per paradosso, più facile per te, Robert. Hai idea di cosa ci sia oggi a Oriente? Però a Baalbeck, sono arrivato. Ho atteso quaranta anni.