Di Paolo Ciampi

Non fosse per la striscia di blu a fare da cornice, non fosse per le macchie di verde, questo potrebbe essere un pezzo di Sahara. E tuttavia a volte anche alla natura piace giocare sul filo sottile dell’equivoco. Qui siamo in Lituania, in quella sottile striscia di terra che è la penisola di Neringa. Una spettacolare successione di dune si affaccia sulla laguna interna e dà le spalle alle distese del Baltico.
Narra una leggenda locale che siano opera di una gigantessa del mare, Neringa appunto, che qui rovesciò la sabbia che trasportava nel suo grembiule. In questo modo voleva dare un porto sicuro ai pescatori del posto.

Verrebbe da rotolarsi su queste montagne di sabbia finissima, da scendere giù di sedere come fosse uno scivolo. Questa però è una riserva integrale, con regole severe per provare a tutelare ciò che le correnti e i venti hanno creato 5-6 mila anni fa – per i tempi della terra un sospiro – accumulando sabbia.
Ciò che si è fatto si può anche disfare, molto più alla svelta. Sotto la splendida duna di Parnidis, prima dei 180 scalini di legno che conducono alla sua sommità, due foto raccontano il prima e il dopo. Solo negli ultimi 30 anni si sono persi 10 metri.
Leggo dal cartello: “Desta una particolare sensazione contemplare ciò che sai che sparirà”. Fa anche effetto leggere un rigo così sulla segnaletica turistica.

Il mare oggi è una lastra di piombo. A Neringa gli abitanti del posto hanno dedicato un trono di legno, giù a riva. Per fortuna guarda lontana, lo sguardo rivolto all’acqua, non alle sue dune.