Di Paolo Ciampi

Turaida, nel cuore del primo parco nazionale della Lettonia, è un posto magnifico. C’è un imponente castello di mattoni rossi che riporta ai tempi dei Cavalieri teutonici, c’è una commovente mostra sui Livoni, un popolo dello stesso ceppo linguistico degli ungheresi e dei lapponi, la cui lingua oggi è parlata da meno di 200 persone.

Però a colpirmi di più è stata la collina delle dainas, disseminata di statue di pietra sognanti ed enigmatiche. Sono alcuni dei personaggi della tradizione popolare lettone, cantati nelle dainas, appunto: canti con testi rigorosamente di quattro versi con cui generazione dopo generazione sono stati condivisi tutti gli aspetti della vita, l’amore come la fatica, le sofferenze della guerra e la gioia per i pochi giorni di pace.

Ho letto che la tradizione del canto sia particolarmente diffusa in tutte le repubbliche baltiche. In particolare nessun altro posto al mondo ha un’analoga concentrazione di cori. Quanto alle dainas, pare se ne conservino qualcosa come un milione e duecento mila. Un impressione racconto in canto di un intero popolo.

Ho pensato agli haiku giapponesi, poche sillabe per esprimere magnifico istanti di poesia. Ho pensato alle ottave improvvisate sul mio Appennino, persone come Beatrice di Pian degli Ontani che ci ha regalato canto, poesia, senza saper leggere una sola parola. Poi ho immaginato gli inverni gelidi del Baltico. Vi si spartivano il calore di un fuoco e manciate di parole. Era già molto.