Testo e foto di Francesco Parrella
Foto di copertina di Giorgio Cossu
L’arte presepiale napoletana, si sa, è uno dei simboli della città. La secolare tradizione ha anche influenzato diverse realizzazioni. Figure a grandezza naturale, opere monumentali in marmo o in legno, ma un presepe realizzato nel guscio di pistacchio, in un seme di canapa o nel nocciolo di ciliegia, è una novità anche per quest’arte antica. A dare vita a queste opere è stato, tra il 1942 e il 1999, un prete di Castellammare di Stabia, Antonio Maria Esposito, che, nella quasi assoluta discrezione del suo studio ha prodotto in oltre cinquant’anni più di una settantina di minuscole opere d’arte. Basti pensare che la distanza tra i personaggi si misura in millimetri. E per osservarle serve la lente d’ingrandimento.
Opere finora poco conosciute, mostrate dal sacerdote in un circuito strettamente familiare, o in qualche occasione pubblica, come nel 2013 negli spazi del Vescovado di Napoli. Dal giugno scorso l’associazione culturale «Progetto Sophia. Donne verso la Bellezza», presieduta dalla pronipote di don Antonio, Manuela Mirabile, in un progetto di valorizzazione delle opere permette a tutti di esplorare 75 stupefacenti miniature negli spazi del «Museodivino», in via San Giovanni Maggiore Pignatelli, nel centro storico di Napoli, a pochi passi dalla famosa via dei presepi di San Gregorio Armeno.
Si tratta di 33 presepi in gusci di cozze, di pistacchio o di semi, e 42 opere, che raffigurano il percorso delle tre cantiche della Divina Commedia, ambientate nel guscio di una noce. I corpi dei personaggi sono gocce di pittura a olio essiccate per mesi e scolpite con strumenti di microchirurgia. Le teste sono fatte con granelli di polpa di pera immersi nella trementina per conservarli nel tempo. I paesaggi creati con materiali naturali: piccole gemme di pino e pistilli di fiori. E, nonostante la scala millimetrica, le figure sono dinamiche, sembra che saltino, corrano, si inginocchino, appena si avvicina la lente d’ingrandimento. «Vedere queste opere richiede un pò di pazienza», sottolinea la direttrice del Museo, Silvia Corsi, «ma la meraviglia che suscitano è pari ad un sentimento positivo di speranza che, come sostiene Peter Brook, dovrebbe essere alla base del lavoro di ogni artista». Appassionata di arte del Novecento Silvia Corsi è un’attrice e scrittrice di Torino che da vent’anni si occupa di teatro di figura. E’ arrivata a Napoli sei anni fa, «quando poi sono inciampata in questi gusci di pistacchio e non sono andata più via». È lei a guidarci in questo viaggio che spazia dalla Natività alla Divina Commedia. «Sono presepi fuori dai canoni classici della tradizione napoletana. Opere di arte spirituale come i mandala buddisti o le icone della Chiesa Ortodossa. C’è anche un’opera in geode di quarzo nero ambientata di notte in un suggestivo panorama stellato alle spalle dei personaggi, realizzata in due copie, di cui una regalata dal sacerdote a Papa Giovanni Paolo II durante la visita che il pontefice fece a Castellammare nel ’92, e l’altra conservata presso il nostro museo». Passando al capolavoro di Dante, la maggior parte dei «gusci» sono dedicati all’Inferno, uno solo al Paradiso, che racchiude però tutta la crescente dinamicità che caratterizza queste realizzazioni. Nonostante lo spazio decisamente piccolo per contenere il cosmo dantesco, con l’aiuto della lente è possibile vedere Dante perduto nelle foreste, che affronta le bestie, che incontra Virgilio, oppure le anime del Purgatorio che cantano scortate dagli angeli. «È una Divina Commedia con tantissimi registri stilistici – continua la direttrice – dove non ci sono i grandi personaggi dell’opera come il conte Ugolino o Paolo e Francesca, ma, soprattutto nell’Inferno, troviamo peccatori sociali come ladri, corrotti, ipocriti, che proiettano questo viaggio ancora di più verso la contemporaneità e danno un carattere attuale alla sua creazione. Molti visitatori mi chiedono ma Roberto Benigni l’ha vista questa collezione? Paragonano insomma la sua opera di divulgazione a questi gusci di noce, ed è un paragone sensato perchè sono due artisti che hanno un rapporto vivo, reale con l’opera dantesca, è come se parlassero non solo di Dante ma con Dante. Sono certa – conclude – che se mai venisse a vedere il museo, Benigni si divertirebbe molto, come chiunque ami la Divina Commedia».