testo di Letizia Sgalambro
Ho amato tutti i film di Ken Loach, ma Sorry we missed you non mi è piaciuto, mi ha lasciato un forte senso di amaro in bocca e un gran fastidio addosso. Ci ho messo un po’ a capire perché: non è solo per il sistema economico dedito allo sfruttamento che dipinge, ma soprattutto per come ha raffigurato i personaggi principali.
Il tema centrale per me, e non so se era questo lo scopo di Ken Loach, è la totale mancanza del senso di responsabilità personale.
La madre, una donna dolcissima, tutta dedita al lavoro per gli altri, è così brava a lavorare che si prende carico di responsabilità e difficoltà altrui anche quando non dovrebbe, a scapito della sua vita privata (vedi quando promette al ragazzino di tornare a svegliarlo più tardi perché lui al momento non ha voglia di alzarsi…). E’ talmente buona che accetta che il marito venda la sua macchina, costringendola ad andare a tutti gli appuntamenti di lavoro in autobus, triplicando i suoi tempi di spostamento, giustifica e protegge il figlio in ogni situazione, anche quando vende il giubbotto pagato tantissimo per comprarsi i colori, o picchia i compagni a scuola. L’unico che, a suoi occhi ha delle colpe, è il padre perché assente, perché si sbatte 14 ore al giorno per andare a consegnare pacchi a giro per la città.
Il padre si fa carico del benessere della famiglia, anche lui vuole prendersi tutte le responsabilità addosso (alla moglie dice: senza machina lavorerai meno perché tanto guadagnerò bene io), invece di imporsi con il figlio e lasciare che venga punito per quello che ha fatto molla il lavoro e quindi si trova a dover pagare una multa carissima.
La figlia piccola cerca di farsi carico della felicità familiare…
Se Ken Loach disegna molto bene l’alienazione di un lavoro che vuole apparire autonomo, ma è il massimo della subordinazione, mi sembra che sia carente nell’affidare ad ognuno il suo compito. Il carattere dei personaggi è debole, non per colpa del lavoro, ma per il loro modo di affrontare la vita. E questo non è conseguenza, ma una delle cause della disfatta.
Voler dare la colpa solo al sistema è limitante e non produce cambiamento.
Ma è dalla responsabilità personale che si deve ripartire. Insieme alla ricostruzione di un senso collettivo, altro aspetto completamente assente nel film. Manca l’aspetto politico e della solidarietà, l’idea che i soprusi si combattono insieme e uniti, che un agire concertato e condiviso può fare la differenza.
In un periodo così critico, in cui la dignità dei lavoratori è sempre più a rischio, non dobbiamo dimenticare mai l’aspetto umano, anche quando si fa denuncia .