Testo e foto di Paolo Celi
Tutte le migliaia di luoghi di culto delle 18 religioni che convivono in Libano sono impegnate nella preghiera contro il Covid 19, ma nella pratica le reazioni di questo mosaico culturale non appaiono compatte allo stesso modo. Così, mentre le chiese cattoliche e armene chiudono i battenti quelle ortodosse discutono se l’ostia può essere presa direttamente dai fedeli o, nel rispetto del rito, deve essere data dal sacerdote. Sull’altro fronte religioso le moschee per ora hanno sospeso le funzioni del venerdì, ma, a differenza della più disciplinata comunità sciita del sud del Paese, i sunniti di Tripoli si sono ritrovati per pregare in piazza .
Decisa, invece, la reazione del Governo nel tentativo di evitare il diffondersi di un’epidemia che il sistema sanitario libanese non sarebbe in grado di gestire. Da tre settimane le scuole sono chiuse e da una anche tutto il resto, fatta esclusione per i servizi essenziali.
Una paura condivisa dalla maggioranza della popolazione. Le strade di Beirut si sono svuotate., le vie luminose e rumorose della vita notturna sono buie e silenziose, il traffico e scomparso,. Emblematico è soprattutto il vuoto assoluto della Corniche. Più di due chilometri di lungomare, la promenade amata dai libanesi e perennemente affollata di gente, di venditori di caffè e pannocchie, ora è deserta e passando in macchina si riesce addirittura ad ascoltare il rumore del mare prima coperto da quello del traffico sempre caotico.
Al momento i casi identificati in Libano sono poco meno di 300, ma la crescita dei contagiati è costante. Ci sono diversi piccoli focolai identificati, ma spaventa quello che potrà accadere se, ma soprattutto quando, il virus attaccherà i sovraffollati campi dei rifugiati palestinesi o gli insediamenti informali dove ancora vivono migliaia di rifugiati siriani. Aree dove i servizi sanitari, anche quelli deputati a identificare i contagiati, sono praticamente inesistenti. I I libanesi sanno che il virus non si fermerà al muro di cinta di un campo palestinese o al limitare di un insediamento di profughi siriani.
Intanto, la paura dell’epidemia ha fatto passare in secondo piano anche l’altra grande crisi che il Paese dei Cedri sta attraversando: quella finanziaria, che ha messo in ginocchio la debole economia del Libano. “Tutti dicono che il virus è democratico – mi dice Ahmed, il palestinese che lavora alla frutteria sotto casa – ma credo che se si ammala uno dei ricconi libanesi un posto in terapia intensiva lo trova, se tocca a me o a uno dei tanti come me non credo che troveremo neanche un letto in un dispensario.”