storia e foto di Claudio Bazzocchi

Correva l’anno 1995, a Mostar, Bosnia-Erzegovina. Vivevo in quella che oggi considero una mia seconda patria ed ero responsabile del Consorzio Italiano di Solidarietà, una sorta di ONG che racchiudeva tanti comitati e associazioni nazionali di sinistra che lavoravano per la pace nella ex-Jugoslavia. La domenica, visto che nelle prime settimane di permanenza non avevo ancora la TV, andavo a vedere «Domenica Sprint» a casa di un collega italiano dell’OMS. Aveva una bella libreria. Una di quelle sere mi misi a curiosare fra i libri e Ambrogio ne estrasse uno. L’hai letto? Era Un nome da torero di Sepúlveda. Libro non letto, mai sentito nominare lo scrittore. Da quella sera, dopo il resoconto domenicale sul calcio e la mia amata Juve, iniziò il mio rapporto amoroso con Sepúlveda e la lettura sudamericana. Sì, perché fino a quel momento non avevo letto niente, nemmeno García Márquez. Il collega milanese mi prestò Il vecchio che leggeva romanzi d’amore e poi Il mondo alla fine del mondo.

Dopo quel tris, ogni volta che tornavo in Italia facevo un salto alla Feltrinelli vicino al porto di Ancona prima di tornare a Mostar. Assieme alla saggistica, cominciai a comprare tutti i libri di Guanda di scrittori sudamericani, a partire da Coloane, e poi la collana di Tropea con Paco Ignacio Taibo II, Chavarria, Padura e tanti altri. Sepúlveda e Paco Ignacio divennero per me mitici e La lontananza del tesoro di Paco Ignacio Taibo fu un vero e proprio romanzo di culto (culto al quale convertii altri colleghi sparsi per la Bosnia). E poi gli autori ormai classici: García Márquez, Vargas Llosa, Amado. Sono ora in fila quegli scrittori in una serie di ripiani di una delle mie librerie, che ho chiamato la “Frontiera scomparsa”. E scorrendoli vedo improbabili storie di paesini nati a ridosso delle frontiere del salnitro in cui risuonano rancheras o che raccontano le proprietà magiche di misteriose pietre vulcaniche. Il DF (Distrito Federal), cioè Città del Messico, non ha più segreti per me, grazie alle avventure del romantico e strampalato Hector Belascoaran, il detective di Paco Ignacio Taibo (di cui ho letto anche l’unico romanzo pubblicato in italiano del padre).

Vedo scorrere in quei libri impilati sugli scaffali della “Frontiera scomparsa” un mondo di passioni forti, romantiche e ciniche allo stesso tempo. Realismo e magia convivono e quella convivenza ha rappresentato per me il fascino di quella letteratura fin dal primo libro di Sepúlveda. In quelle storie si può essere romantici e cinici allo stesso tempo, interpreti dell’incanto magico della terra, della musica e delle meravigliose differenze dell’umano nelle sue più multiformi declinazioni e però disincantati, ironici, quasi sprezzanti di tutto e di tutti. Si può vivere nel più degradato mondo delle miniere di salnitro e immaginare musiche, eroi, mirabolanti passati e ansie di futuro che non si avvereranno mai continuando però a scaldare il cuore. Si può fare la rivoluzione e allo stesso tempo essere amici e bere, ridere, cantare senza i cupi obblighi del proletariato europeo forgiato dalla volontà ottusa e d’acciaio dei rivoluzionari di professione. In quella costellazione sudamericana, ho incontrato anche due scrittori italiani: Bruno Arpaia e Pino Cacucci, che tanto hanno fatto e fanno per farci conoscere i loro colleghi sudamericani.

Ricordo ore e ore di letture fantastiche nella mia bella casa di Mostar e poi nei bar lungo la Neretva. La nostalgia per Mostar si lega così alla nostalgia tutta sudamericana di quei romanzi. Bosnia-Erzegovina e Sudamerica sono così unite in me tramite un filo ideale di cui Luis Sepúlveda terrà per sempre il primo capo dalle parti della frontiera scomparsa.

Claudio Bazzocchi, 52 anni, è uno studioso di filosofia politica con un passato da giovane cooperante nei Balcani. Vive in quarantena da prima della quarantena. Un po’ per scelta e vocazione, un po’ perché costretto da varie circostanze. È comunque in salute.