Aspettando il nuovo numero, in uscita a ottobre: storie e viaggi sul tema del prossimo dossier, Gente che va

scuse di Nazim Comunale, foto di Marco Baschieri

“Le scuse folli di chi esce di casa”: così uno strillone della Gazzetta di Reggio, domenica 5 aprile 2020, durante la passata quarantena

Avevo bisogno di vedere un bambino giocare in un cortile.

Volevo sentire l’erba del prato sotto le scarpe.

Dovevo passare a salutare le panchine che portano a Villa Magawly.

Le mie rughe cercavano uno spicchio di luce.

Le pareti di casa iniziavano a restringersi, avevo bisogno di scappare a duecento metri da qua.

Non ne potevo più di sentire la televisione che si era succhiata il cervello di mia moglie.

Non ce la facevo, anche oggi, a sostenere lo sguardo vuoto di mio marito davanti ad una partita di pallone del 1982.

La radio prendeva solo Radio Maria, e l’odore di cavolo bollito premeva contro le pareti dello stomaco.

Ho sempre avuto nausea del mondo, ma forse era più una paura: ora potevo uscire indisturbato!

Mi ero rotto le scatole di vedere la mamma e il papà che facevano finta di sopportarsi perfettamente.

Dottò, vulit venì vuje a casa cu chella cessa e suogrema?

Volevo passare a dire ciao a Valter, ha 89 anni, è sano come un pesce, ma è solo, e ogni volta che gli parlo, anche solo per due minuti, alla fine mi dice, grazie, sai, che io sono sempre solo.

Avevo una voglia matta di pisciare contro un albero.

Io no capisce bene italiano, but in mia casa cinque persone in una room, bad smell, no water, me bisogno respirare fresh air.

La malattia è nel salotto.

Volevo vedere se incrociavo un’altra volta quella tipa bellissima in bicicletta.

Sono una donna romantica e ottocentesca, quale momento migliore per innamorarsi platonicamente di qualcuno?

Dei cani con la rabbia mi mordevano l’anima, dovevo vedere una faccia, sentire una voce, beninteso, alla distanza minima di un metro.

Con la mascherina sto benissimo, fa risaltare i miei occhi da gatta, è un vero peccato che nessuno mi veda, cosa ne dice lei?

Lo specchio aveva cominciato a insultarmi, era il momento di andare a contare i palazzi, le finestre, le case.

Sono sempre stato follemente interessato ai campanelli. Nei nomi si annidano storie.

Agente, non mi dirà che a un uomo può bastare uscire una tantum per buttare la spazzatura?

Quando portare fuori, al guinzaglio ovviamente, il mio pitone domestico?

Proprio ora che stavo ricominciando a sentirmi bene, ero pronto a buttarmi nel mondo, e voi mi dite che devo stare tappato in casa altri mesi e mesi?

A camminare da soli no, ma in fabbrica tutti vicini vicini appassionatamente non c’è problema, vero?

Avevo una voglia di Perù, come mi capita di solito il martedì, e dovevo spingermi almeno al confine del mio barrio.

Gesù mi protegge, poi questa è solo una febbriciattola, lo ha detto anche il mio presidente, io sono brasiliana, sa.

Avevo bisogno di comprare il detersivo, ma mi sono dimenticato il portafoglio a casa e sono andato lo stesso davanti alla Coop solo per farmi un po’ di cinema naturale.

Le mie migliori intenzioni stavano marcendo in quella stanza dove non entro mai, e allora ho aperto le finestre, e sono uscito di corsa, dimenticandomi la chiave dietro la serratura.

Ho passato tutto il pomeriggio di fianco a un semaforo aspettando che passasse una giraffa.

Non fumo da dieci anni, il cardiologo si è raccomandato, ma oggi ho era una febbre, una necessità, e quindi stavo andando dal tabacchino.

Volevo vedere chi c’era in giro per fotografarlo e fare il delatore, è sempre stato il mio sogno bagnato.

Non ne potevo più di passare tutto il giorno leggendo, ascoltando, scrivendo, guardando: avevo bisogno di sentire qualcosa di stupido, qualcosa di banale, avevo bisogno di vedere un essere umano vivo.

Sentivo l’ansia salire e invece di affogarla dentro al frigorifero ho pensato che andare davanti alla vecchia scuola dove andavo da bambino fosse un buon metodo per placarla.

Avevo finito il Tavernello, mi tremavano le mani.

Avevo ascoltato il disco sbagliato, nel momento sbagliato. Avevo bisogno dell’ossigeno silenzioso di una strada di campagna, di sporcarmi le braghe.

La vitamina preziosa di una risata, l’aria di una voce sconosciuta.

Sono sempre stata una pettegola, se non ascolto le conversazioni altrui mi sento vuota da morire.

La quarantena ha sorpreso me e la mia ragazza in due case diverse: se non la vedevo almeno per cinque minuti, mi scoppiava tutto l’alfabeto in petto.

Il nostro piccolo mondo con presenze così rarefatte è uno spettacolo incredibile, all’alba specialmente.

Sono un investigatore privato, stavo facendo un appostamento, un caso di adulterio, roba di ricconi, abbassi il volume e spenga quelle luci, maresciallo!

Erano anni che volevo togliermi lo sfizio di correre nuda per il parco alle tre di notte.

Sono nato fatalista, se ti deve prendere, ti prendere, e poi annegare nel divano a 78 anni, dopo la vita di merda che ho fatto, eh no.

Quando sono triste ho bisogno di pedalare. Se pedalo forte poi mi passa, glielo giuro.

Sono sempre stato fortunato: lo sarò anche a sto giro. Sono gli altri che si ammalano. Io morirò nel sonno dopo aver fatto una bella mangiata con i miei amici al circolo, come ogni sabato.

Lei lo conosce il blues della domenica? Ecco, quanti giorni sono che è domenica?

Traumi d’infanzia, ho sempre avuto problemi con l’autorità, mio padre, Cronos, me lo ha sempre detto che contraddicevo sempre, vigile, non la prenda sul personale. Come dice, le mie generalità? Certo, Zeus Ferrari.

Avevo finito gli aggettivi.

Io sono uno che non esce proprio mai di casa, ma adesso mi è venuta una voglia.

Le foto di Marco Baschieri sono state scattate alle Officine Reggiane nel maggio del 2015. La grande fabbrica fondata nel 1901, riconvertita, bombardata, protagonista della più lunga occupazione operaia della storia italiana, è stata abbandonata in tutta fretta nel 2008. Dal 2011 molti abilissimi writer sono entrati clandestinamente in questi grandi spazi e hanno dato vita a uno dei più grandi laboratori di street art europei. Una panoramica delle opere realizzate è disponibile sul sito http://reggianeurbangallery.it/

Nazim Comunale, nato in riva al Po sette settimane dopo l’assassinio di Pasolini, è maestro elementare, giornalista musicale per Il Manifesto e altre testate, poeta, comunista e maradoniano.

Marco Baschieri, 53 anni, viaggia durante l’inverno tra Sud Est Asiatico, India e Centro America e per il restante tempo vive e prospera a Cavriago. Fotografa per passione e piacere. Bevitore di Lambrusco e lanciatore di coltelli, ha molta cura dei suoi baffi.