Testo e foto di Tito Barbini

Cosa dovrebbe fare un insegnante di geografia nell’ora che gli hanno assegnato? Semplice. Portarsi in classe un mappamondo. Grande, con la luce dentro e le montagne in rilievo. Donare ai ragazzi la fantasia del viaggio, quella che, portandoci via, ci riporta anche a noi stessi. Un mappamondo così grande da poterlo abbracciare anche nel tempo del corona virus dove non ci sono più abbracci. In sua compagnia trascorrere gran parte dell’ora di geografia, alla ricerca di città e deserti, e con le parole volare verso luoghi immaginari attraversati da esploratori senza paura.

Indicate agli allievi l’azzurro degli oceani, studiate con loro i confini di Stati di cui ignorano tutto, percorrete con il dito i profili delle catene di montagne, indugiando pensosi sui grandi deserti. Volate verso città remote, raccontando Calvino e le sue città invisibili dai nomi di donna. Ecco le mete che un giorno forse raggiungeranno: l’Himalaya, la Terra del Fuoco, l’Antartide. Ma poi anche il loro mondo, il loro paese, quello intorno a casa. Il mio mondo era Cortona, la mia città. Quando, da bambino, per Natale facevo il presepio mi veniva da pensare che le mura della mia città fossero in realtà quelle di Gerusalemme.

Ma non basta. L’insegnante di geografia per alimentare la fame di mondi lontani che ha fatto nascere nei suoi studenti deve passare alle letture. Leggere ai ragazzi racconti di viaggio. Chiamare in classe autori di narrativa di viaggio. Farli interagire con gli studenti. Liberamente, senza mettere paletti o tracciare confini. Non mi ricordo chi abbia scritto che non esiste un vascello tanto veloce come un libro per portarci in terre lontane. Chiunque sia stato aveva ragione. Quanti libri mi hanno aiutato a sognare. Libri divorati da adolescente, ma che avrei riletto con enorme piacere anche da adulto. Libri su uomini sempre alla ricerca di qualcuno o qualcosa, all’inseguimento di un sogno o di un tesoro, di una persona amata oppure anche di una preda divenuta ragione di vita, come Moby Dick.

E uomini in perenne, inquieto movimento attraverso giungle folte di minacce o attraverso oceani gelidi e tempestosi. Anch’io ho provato a cercare per tutti i mari della mia esistenza l’inafferrabile balena bianca; anch’io ho indagato le mappe per scovare la mia isola del tesoro; anch’io ho issato le vele del mio vascello per oltrepassare quella sottile linea d’ombra, che non è solo il titolo di un libro indispensabile, è anche una stagione cruciale della vita. E oggi che quel ragazzino che ero è ormai un ricordo lontano, oggi viaggio davvero, non più su un mappamondo con le ali della fantasia. Però le mie mete, per lo meno le mete che contano sul serio, affondano sempre nelle fantasie e nelle emozioni di quel bambino. In questo modo credo di aver capito che il viaggio, quando è vero, tra le altre cose consente di ritornare a quello che si era in tempi lontani, senza più pregiudizi, barriere, filtri della memoria più o meno interessati e consapevoli.

Per questo consiglio all’insegnante di geografia, in questi giorni di incertezza, di trovare il tempo per un mappamondo virtuale o reale affinché gli studenti non smarriscano mai i paesaggi interiori della loro infanzia. Geografia della mente assieme a quella fisica.