Testo e foto di Paolo Calvino
Un divagalibro è uno di quei libri che innescano una divagazione sul testo e sul suo autore, e che, allo stesso tempo, fanno venir voglia di vagabondare verso altri libri, esplorarli e utilizzarli come nuovi divagalibri.
Testi di qualsiasi genere possono diventare divagalibri, ma è particolarmente adatta allo scopo la letteratura di viaggio, perché contiene nel racconto stesso un movimento coinvolgente e, in più, ben si presta all’accostamento fra narrazioni diverse sul medesimo luogo; non è da sottovalutare, poi, che anche le esperienze e i progetti di viaggio del lettore vengono richiamati alla memoria. Va da sé che la divagazione non ha fine e che, molto probabilmente, ad un certo punto ci si ritroverà a organizzare un viaggio. Nel frattempo, se siete un insegnante di geografia, i divagalibri potrebbero tornarvi utili.
Ci sono ragioni piuttosto ovvie: i racconti di viaggio di solito contengono descrizioni geografiche, stimolano il desiderio di viaggiare, e viaggiare può essere un buon modo per imparare la geografia (sempre che lo si faccia con uno spirito curioso e appoggiandosi a buone informazioni).
Conoscere implica un movimento: dal noto ci si sposta verso l’ignoto, dall’ambiente abituale verso il mai visto; dal sé che da tempo si conosce (o almeno si crede di conoscere) verso l’altro da sé che fa diventare altro il sé. La conoscenza è dunque spostamento e cambiamento. Se il viaggio è un tipo di movimento e la divagazione un tipo di viaggio, allora la divagazione può essere una forma di conoscenza.
Il viaggio si può realizzare con il corpo o attraverso i libri, i fumetti, i blog e altri tipi di testo. Fin qui nulla di nuovo. Il divagalibro aggiunge un movimento, quello fra i i libri (o gli altri testi). Si stimola così ulteriormente la pratica dello spostamento e di conseguenza il cambiamento e la conoscenza. Confrontando i diversi modi in cui uno stesso luogo viene raccontato, può sorgere il desiderio di studiarlo e andarci, per poi poter aggiungere il proprio punto di vista.
Si trovano in molti libri descrizioni che aiutano a comprendere la relazione bidirezionale fra ambiente e uomo, ma l’analisi di certi testi – e questo vale soprattutto per la letteratura di viaggio – può anche mostrare l’influenza reciproca fra ambiente, letteratura e uomo.
Ecco, perciò, dei divagalibri particolarmente utili per un insegnante di geografia. Un esempio significativo l’ho trovato in Giappone: alla fine del XVII secolo, in un’epoca in cui la costruzione di infrastrutture quali strade e traghetti e l’accresciuto tenore di vita permettevano a numerosi giapponesi di inserire i viaggi nel loro nuovo stile di vita, lo scrittore Yuben Shinnen fece conoscere il pellegrinaggio agli 88 templi buddhisti dell’isola di Shikoku attraverso la sua opera Shikoku Henro Michishirube, nella quale i viaggiatori potevano anche trovare informazioni relative a spostamenti e pernottamenti.
In breve tempo, una pratica prima riservata a pochi asceti divenne un fenomeno di massa, modificando le abitudini dei monaci e degli abitanti dell’isola e lo stesso paesaggio (si pensi all’ampliamento dei templi). Shinnen, fra l’altro, raccolse fondi con cui fece erigere centinaia di stele di pietra con funzione di segnavia lungo il cammino.
Egli colse poi un bisogno più profondo dei potenziali pellegrini, ovvero il desiderio di entrare in una narrazione epica che dia un senso superiore alle esperienze che essi stanno per vivere. Scrisse, perciò, Shikoku Henro Kudokuki, pubblicato nel 1690, nel quale raccolse ed espose i miracoli attribuiti al santo Kōbō Daishi (774-935). In un corpo di leggende formatosi con il passare dei secoli, Kōbō Daishi figurava come iniziatore del pellegrinaggio, fondatore della maggior parte degli ottantotto templi, scultore di statue lignee delle divinità, guaritore e rabdomante. Shinnen corroborò la credenza che il santo non fosse veramente morto, ma fosse entrato in uno stato di meditazione che gli permetteva di manifestarsi per assistere i pellegrini lungo il cammino e, talvolta, di assumere le sembianze di uno di essi per meglio aiutare gli altri o per metterli alla prova.
Tale convinzione stimolò la pratica dell’osettai, i doni che gli abitanti dello Shikoku elargiscono ai pellegrini con l’intenzione di fare cosa gradita al santo, che li protegge e che potrebbe addirittura essere uno di essi. Shinnen riuscì, così, a creare un ambiente accogliente e denso di significato per i potenziali pellegrini; inoltre, fornì loro una motivazione socialmente accettabile per mettersi in viaggio, un elemento non trascurabile nella società giapponese che, anche oggi, non vede con favore l’interruzione dell’attività lavorativa per motivi di semplice svago.
La seconda parte sarà pubblicata il 17 novembre