Testo di Angela Mori | Fotografie di Giovanni Ricco.
Terzo Classificato Sez. A concorso Fogli di Viaggio
Sezione A – Ogni posto è una miniera
Tehran, 5 Novembre 2011
LA MEGLIO GIOVENTU’
“Se vuoi, qui puoi toglierti il foulard” mi ha detto Azam. Mi sono voltata indietro ed ho visto lei e Parastoo abbassare sulle spalle l’hejab. “Non ne sento il bisogno, in questo momento”, le ho risposto. Probilmente perche’ erano solo cinque giorni che lo indossavo, mentre loro sono costrette a portarlo da quando erano bambine. Quest’atto liberatorio l’hanno potuto esprimere perche’ con l’auto, ci siamo fermati sul lato di una strada che solcava una zona desertica che da Kashan porta ad Abyaneh, lontani chilometri dagli occhi della gente. Stavamo aspettando gli altri ragazzi per ricompattare il gruppo, dopo di che siamo ripartiti. Poco piu’ avanti pero’, dove l’aridita’ del paesaggio lasciava spazio ad un boschetto vicino ad uno specchio d’acqua, ci siamo fermati nuovamente e siamo usciti tutti dalle auto. Li’ e’ cominciato il set fotografico piu’ divertente a cui abbia mai partecipato. Azam, Roja, Marzieh, Masheed, Parastoo e le altre si sono tolte il foulard dalla testa, si sono distese in mezzo alla strada e in pose sexy si sono lasciate fotografare da Arash, Ashkan e Meitham. Piu’ in la’, nel boschetto, sinuosamente adagiati su un letto di foglie secche, Jabod e Maryam, Ali e Oyee, si lasciavano ritrarre da tutti quelli che, compresa la sottoscritta, avevano voglia di fermare in un’immagine la felicita’. Quel momento di abbandono, lontano dagli occhi di una societa’ che gli impone per legge e tradizione di non mostrare i sentimenti e di mortificare la femminilita’, mi ha fatto capire molto dell’Iran. L’audacia dei loro corpi esibiti in mezzo ad una strada, sfidando gli sguardi delle persone che viaggiavano sulle rare auto che passavano di li’, racconta molto di piu’ di milioni di parole del bisogno di liberta’ dei ragazzi iraniani.
Sono stata fortunata. Molto fortunata. Ho incontrato questi ragazzi, circa venti, nel delizioso albergo di Kashan dove alloggiavo. Sono arrivati lo stesso giorno in cui sono arrivata io: erano venuti li’ da Tehran, dove vivono, per trascorrere un fine settimana insieme per festeggiare un anno di vita della rivista di viaggi e cultura per cui scrivono. Tutti giornalisti e tutti giovani tra i ventidue e i trentadue anni.
Praticamente mi hanno adottata. Siamo stati insieme due giorni e con loro ho condiviso ogni momento. Ero cosi’ affamata di conoscenza che non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso nel tentativo di capire molto di piu’ di quello che sono riuscita a capire dalle nostre conversazioni in inglese. Erano talmente belli, vitali e gioiosi che riuscivano a trasmettermi un infinita’ di emozioni e di conoscenze anche quando parlavano in farsi.
In Iran uomini e donne non possono salutarsi in pubblico nemmeno con una stretta di mano. “I giovani, pero’ in privato, al chiuso, adesso si salutano con un po’ piu’ di trasporto” mi ha detto Ashkan. “Meno male” ho pensato, perche’ domani, quando dovro’ lasciarli, non posso accettare una violenza cosi’ grande come quella di non poter esprimere anche con il corpo la gioia per averli conosciuti. Cosi’, quando ieri in albergo, Arash per primo, mi si e’ avvicinato tendendomi la mano, timidamente gli ho detto ” Non ce lo diamo un bacio?”, “Perche’ no” ha risposto. E cosi’ abbiamo dato inizio alla piu’ grande festa di baci e abbracci che l’Iran abbia mai visto.
Sono stata fortunata. Molto fortunata. Il destino mi ha fatto il regalo piu’ bello che potesse farmi: mi ha fatto incontrare la meglio gioventu’ iraniana, quella che cambiera’ questo Paese. Forse a caro prezzo. Ma sono sicura che ci riuscira’.
Bam, 10 Novembre 2011
IL PAESE DEI DIVIETI
Nooshin indossava una maglia con le maniche che le arrivavano sopra il polso quando e’ stata fermata dalla polizia a Tehran, dove studia, poco tempo fa. Troppo corte. La legge non lo consente. E’ stata portata al comando dove le hanno fatto un sacco di domande. Alla fine e’ stata rilasciata. “Ho pianto tanto” mi ha detto.
Nooshin indossava quella maglia anche quando l’ho incontrata sul treno che da Tehran mi ha portato a Mashhad: evidentemente la voglia di mettersi le cose che le piacciano le da il coraggio di infrangere la legge e rischiare di essere arrestata.
Ho trascorso 12 ore di viaggio in seconda classe insieme ad un’umanita’ in perenne movimento da un vagone all’altro, ruminando qualsiasi genere alimentare che questo Paese puo’ offrire. Le signore accanto a me mi hanno rimpinzata di noccioline, semi di zucca, biscotti, riso, mele, arance, patatine, tè e coca cola, preoccupandosi ogni volta che cio’ che mi mettevano in mano fosse sufficiente a saziarmi.
Nooshin, 25 anni, mi si e’ avvicinata e, curiosa, come tutti gli iraniani, ha cominciato a farmi un sacco di domande. Quando siamo arrivate a Mashhad mi ha detto che, se volevo, suo fratello che era venuto a prenderla, mi avrebbe accompagnata all’albergo. Ovviamente, non ho esitato un attimo ad accettare. Ci siamo date appuntamento per il giorno seguente. E’ venuta a prendermi all’albergo e mi ha proposto di andare a pranzo da lei: il sette novembre nel mondo musulmano si celebra l'”Ayd Ghorban”, il giorno del sacrificio, e tutta la famiglia si riunisce per festeggiare.
Prima di salire in auto mi ha detto “Se vuoi, mi farebbe piacere che tu venissi anche a dormire da me”. L’ho guardata e le ho detto “Si”. Sono corsa in albergo, ho preso le mie cose, ho pagato il conto e sono andata via con lei.
A casa sua c’erano, zii, cugini, fratelli, babbo, mamma: sembrava che stessero aspettando solo me. Avevo conosciuto Nooshin poche ore prima e gia’ ero entrata a far parte della sua famiglia come una vecchia amica che non si vede da tanto tempo.
La sera mi ha portata a visitare il sacro santuario dell’Imam Reza: meraviglia del mondo islamico, la cui parte piu’ bella pero’ e’ nascosta agli occhi dei non fedeli. Grazie al chador che mi aveva prestato e che mi copriva completamente, sono riuscita ad entrare anche in quelle parti precluse ai non musulmani. E’un privilegio poter vedere la bellezza architettonica di quel luogo sacro. Ed e’ commovente vedere i fedeli che pregano in questo venerato luogo di pellegrinaggio.
Quando siamo uscite siamo risalite in auto con Shamim e Mina: cugine e amiche con la stessa voglia di divertirsi di Nooshin. Prima di arrivare al ristorante dove avremmo cenato insieme a suo fratello Behzad e all’altra cugina, Monir con la figlia Fatemeh, abbiamo percorso in modo strano alcune strade laterali del viale Khayam, che io non trovavo particolarmente interessanti, mentre loro, si. Poi mi hanno spiegato. In quelle
strade ragazze e ragazzi, si rincorrono stando nelle rispettive auto: se un ragazzo scorge nell’auto che ha affiancato una ragazza che le piace, apre il finestrino e le da un bigliettino con il suo numero di cellulare. Se lei e’ interessata, lo chiamera’.
Ho trascorso tre giorni stupendi in compagnia di Nooshin, della sua famiglia e dei suoi amici. Ho imparato tante altre cose della vita degli iraniani. Ho appreso dei mille divieti che lo Stato gli impone e dei duemila modi per aggirarli.
In Iran sono proibiti gli alcolici.
L’altra sera, Farhad, il fratello di Nooshin, mi ha fatto assaggiare un vino piu’ che dignitoso, che fa in casa sua suocera e che ha imparato a fare tramite internet.
Facebook e’ censurato.
Tutti pero’ hanno l’antifilter che gli consente di spippolare allegramente aggirando l’ostacolo.
Il satellite e’ proibito.
Basta contattare la persona giusta e dopo pochi minuti ti arriva a casa il “pusher” ad installarti il ricevitore satellitare.
Le carte di credito Visa e Mastercard non si possono usare a causa delle sanzioni imposte.
Nessun problema. Basta avere l’amico giusto e puoi fare tutti gli acquisti che vuoi anche con quelle carte di credito.
L’Iran e’ davvero un Paese pieno di divieti. Infranti.
Shiraz, 18 Novembre 2011
IL SOMMO POETA
“Non tradurre. Leggilo in farsi”.
Eravamo di fronte alla tomba di Hafez e come molti iraniani che vanno a rendere omaggio al sommo poeta, di fronte alla sua tomba, Adileh mi ha recitato uno dei suoi poemi preferiti. Per dovere di ospitalita’ me lo voleva tradurre in inglese ma ho preferito assaporare la bellezza delle sua lirica esclusivamente attraverso la dolcezza della lingua originale. Tradurlo in inglese non avrebbe avuto senso perche’ comunque non e’ la mia lingua madre.
In ogni casa iraniana il “Divan” di Hafez fa concorrenza al Corano. Ogni iraniano puo’ citarti versi dei suoi poemi in ogni momento. Quando mi trovavo a Bam, Mr. Akbar, il proprietario della guesthouse dove alloggiavo e’ riuscito a rendermi accettabile la spartana e decisamente poco pulita sistemazione, recitando tra un te’ e l’altro, i versi di Hafez.
Al ristorante, i versi dei suoi poemi te li stampano sullo scontrino.
La tomba di Hafez e’ il primo luogo dove mi hanno portata Mahsa e Adileh, due stupende ragazze di Shiraz che avevo conosciuto a Kashan e che mi avevano invitato a chiamarle una volta che sarei arrivata in questa citta’. Cosa che puntualmente ho fatto.
Il “Divan” viene usato anche come libro per la divinazione: si apre a caso e nel poema che uno legge, trovera’ la risposta alla domanda che si e’ posto.
Le mie guide d’eccellenza mi hanno condotta tra i bellissimi giardini di Shiraz che hanno reso famosa questa citta’ per la sua raffinatezza. Mi hanno inoltre portata alle due aree archeologiche di Naqsh-e Rostam e Pasargade che avevo omesso di visitare il giorno che mi sono recata da sola a Persepolis. Ovviamente per me e’ stata l’ennesima occasione per stare insieme a delle giovani iraniane che mi hanno dato l’opportunita’ di conoscere sempre di piu’ questo popolo.
Stamattina quando sono venute a prendermi in albergo non mi hanno dato nemmeno il tempo di fare colazione. Poi ho capito perche’.
Adileh aveva portato l'”agh sabzi”, uno stufato di verdure e carne, specialita’ di Shiraz che si mangia a colazione.Quindi, poco prima di intraprendere il lungo viaggio per Pasargade ci siamo fermate in un piccolo giardino ai margini della strada e dopo aver steso il tappeto per terra abbiamo iniziato a gustare la nostra robusta colazione.
Ovviamente durante tutta la giornata le ho subissate di domande alle quali hanno sempre volentieri risposto rendendo la mia conoscenza di questo Paese sempre piu’ sconvolgente, interessante e affascinante.
Ci siamo lasciate con la promessa di vederci ancora: le ho implorate, come ho fatto con Nooshin di venire a Firenze. Ed anche loro come Nooshin mi hanno detto “Sarebbe bellissimo. Ma per le ragazze non sposate e’ molto difficile viaggiare da sole”.
“Lo so” gli ho risposto.
Ma io voglio illudermi.
E continuo a sognare di rivederle a Firenze.
Isfahan, 22 Novembre 2011
FACILI COSTUMI
Diligentemente mi sono messa in fila e onorando tutti i passaggi della catena burocratica andando da un ufficio all’altro del Dipartimento degli Affari Esteri che si trova in una zona periferica di Isfahan, sono giunta finalmente alla stanza preposta al rilascio dell’estensione del visto. Timorosa di non essere adeguatamente ben coperta e di non avere un atteggiamento sobrio, continuavo nervosamente a sistemarmi il foulard in testa, ad allungarmi le maniche e a tirarmi giu’ la casacca oltre il sedere. Arrivata allo sportello ho consegnato la documentazione e sono stata invitata a mettermi a sedere in attesa. Accanto a me c’era una ragazza portoghese che aveva deciso di indossare il chador per non correre rischi, dato che il giorno precedente non era riuscita ad ottenere l’autorizzazione per l’estensione.
Io continuavo ad essere ancora piu’ nervosa.
Ad un certo punto il giovane poliziotto mi fa cenno dalla finestrella dello sportello di avvicinarmi. Con un gran sorriso, anzi, ridendo, mi dice ” Ma e’ vero che in Italia nelle manifestazioni contro Berlusconi, la gente si e’ spogliata in strada?”. Io sono rimasta di ghiaccio. In una frazione di secondo ho pensato “Questa e’ una trappola. Mi sta provocando. Sta cercando di capire se sono una donna di facili costumi. Se anch’io potrei comportarmi cosi’: denudarmi in mezzo alla strada. Se gli dico che e’ vero non mi rinnovera’ mai il visto”. In realta’ non so esattamente che cosa sia successo quando Berlusconi si e’ dimesso e anche nei giorni precedenti, perche’ non ero in Italia. Posso solo immaginarlo. Sgranando gli occhi e con un filo di voce gli ho risposto “Mah..non so…io non c’ero quando si e’ dimesso…e’ un mese e mezzo che sono in viaggio…”. ” Ma come? Non ha visto la tv? Hanno fatto vedere certe scene!”. Io continuavo ad avere sempre meno fiato “Mah…si…ho letto in internet qualcosa…”. Ma lui, sempre piu’ divertito continuava a ripetermi “E’ vero! l’ho visto in tv!”. Mi ha rimandato a sedere. Ho pensato “E’ la fine. Non mi concederanno nemmeno 15 giorni di proroga.” Dopo dieci minuti sono stata richiamata. Il graduato mi ha riconsegnato il passaporto e mi ha detto ” Tutto a posto”. Mi hanno concesso un mese e mezzo di estensione.
Non credo che il giovane poliziotto volesse testare la mia moralita’. Le vicende puttanesche del nostro ex premier hanno fatto il giro del mondo ed hanno fatto divertire anche questo popolo che non e’ certo abituato a comportamenti del genere da parte dei politici.
Pochi giorni fa, visitando la moschea di Nasir – ol- Molk di Shiraz, mi e’ stato chiesto come sempre, all’entrata, di che nazionalita’ fossi. L’anziano custode, seduto vicino alla biglietteria, quando ha sentito che ero italiana, ha detto “Aah…Berlusconi…”, accompagnando questa frase con il gesto della mano che sta ad indicare la dipartita. Io ho alzato le braccia al cielo, e in un gesto liberatorio ho detto “inshallah!”. Lui ha rincarato la dose e si e’ portato l’indice della mano sinistra alla tempia ad indicare la scarsita’ d’intelletto del nanerottolo.
Ho annuito e sono entrata nella moschea.
Zanjan, 27 Novembre 2011
LA RAGAZZA CHE BALLA
“Lo vedi il sangue sulla targa?” mi ha detto Vahid indicandomi l’auto che stava davanti a noi. “Il tizio e’ stato appena tamponato da un’altra auto e chi ne ha fatte le spese sicuramente e’ stato il povero pedone che, durante l’attraversamento stradale cercava di trovare un varco tra le lamiere impazzite” ho pensato.
Per fortuna non e’ andata cosi’.
Vahid mi ha spiegato che alcuni iraniani compiono un rito propiziatorio per inaugurare la propria nuova auto: uccidono un pollo o una pecora (o chissa’ quale altro animale) e con il sangue sacrificale battezzano la targa e le ruote.
L’Iran riserva sempre un sacco di sorprese. Come la vetta del Tochal che si erge a Tehran e che rappresenta un affolltissimo luogo di svago per i suoi abitanti. Non avrei mai pensato di trovare una cima di 3000 metri in citta’,che si raggiunge comodamente con la funivia e dove si puo’ trovare in questo periodo cosi’ tanta neve da poter sciare come se si fosse a Cortina.
Aver conosciuto un angolo cosi’ insolito di questa citta’ ha sicuramente contribuito a renderla ai miei occhi decisamente piu’ bella di come altrimenti l’avrei ricordata.
Ieri mattina, prima di prendere il treno per Zanjan, non ho resistito alla tentazione di andare alla redazione del “New Holidays” a salutare i ragazzi che avevo conosciuto a Kashan. Ovviamente mi hanno riempita di premure e di domande slla mia esperienza in Iran.
Marzieh che sta preparando la sua tesi di laurea sul rapporto tra media e tutela e conservazione dei beni culturali mi ha chiesto di spiegarle la situazione italiana sull’argomento.”In Italia si parla di tutela solo se crolla la casa dei gladiatori a Pompei, altrimenti, non mi pare che sia un argomento che interessi l’opinione pubblica” le ho detto. In merito all’argomento, mi ha portato come esempio il suo amico. “E’ stato arrestato e incarcerato per tre mesi perche’ aveva denunciato nei suoi articoli l’incuria cui sono soggetti i beni culturali in questo Paese e le relative responsabilita’ di governo”. Per amore del proprio patrimonio culturale e della verità, qui si finisce in galera.
Tra tre giorni lascero’ l’Iran. Piu’ che l’immensita’ della piazza Imam di Isfahan, la dolcezza dei giardini di Shiraz, il fascino dei vicoli di Yazd, la resurrezione di Bam e la straordinarieta’ del mausoleo dell’Imam Reza di Mashhad ricordero’ i mille sorrisi che mi hanno regalato le persone. Non dimentichero’ le migliaia di volte che sono stata aiutata per strada a cercare una via, una piazza, una moschea. Come potrei dimenticare Sahar, una ragazzina dolcissima, che in un giorno soleggiato di novembre, mi invito’ a unirmi a lei e alla sua famiglia, mentre stavano facendo un pic-nic a Mahan? E il dispiacere che colsi sul volto di suo padre, quando, riaccompagnandomi all’albergo dopo una giornata trascorsa con loro mi disse “Ci farebbe tanto piacere che tu venissi a casa nostra. Ma io sono un poliziotto e noi abitiamo vicino ad altri poliziotti. Se vieni da noi potresti avere dei problemi”.
Eppoi Fatemeh, che dopo avermi indicato l’ufficio postale di Isfahan decise di trascorrere con me la sua giornata di liberta’ dal lavoro portandomi a fare una bellissima camminata sul monte Soffeh offrendo al mio sguardo una delle piu’ belle immagini che io conservi di questo Paese: il momento in cui si e’ allontanata da me per pochi minuti per rivolgere la sua preghiera ad Allah.
Ma c’e’ un’immagine che piu’ di altre mi si e’ fissata nella mente.
Sull’autobus che ho preso da Bam a Kerman, davanti a me sull’altro lato, una ragazza avvolta in un chador stava guardando qualcosa sul suo cellulare. Ho notato che stava vedendo il filmato di una ragazza, vestita in jeans e maglia, senza il foulard in testa, che ballava da sola in luogo aperto. Voglio pensare che quella fosse lei e che abbia deciso di farsi riprendere, chissa’ da chi, in modo da poter rivivere all’infinito le emozioni di un atto di liberta’ che in questo Paese viene negato.
Tabriz, 28 Novembre 2011
LE VITE DEGLI ALTRI
“Da quel momento ho deciso che non mi sarei mai sposata” mi ha detto Somayeh.
La stessa frase che mi ha detto Vahid qualche settimana fa.
“Ero innamorata di Fardeh. Ci siamo frequentati per quattro anni. Mi aveva regalato un anello bellissimo ma un giorno non l’ho trovato piu’. Mio padre e’ andato a Tehran e glie lo ha riportato. Lui ha deciso che non dovevo piu’ vederlo e che non lo avrei sposato”. “Perche’?” gli ho risposto. “Perche’ lui fa il camionista e non ha una formazione universitaria come la mia”.
L’Iran e’ un Paese patriarcale e maschilista ma poi si scopre che anche le donne contribuiscono a mantenere questo status quo. La sorella di Somayeh ha influenzato il padre in questa barbara decisione, sostenendo che per il suo bene era giusto che lasciasse quel ragazzo.
Ho conosciuto Somayeh sull’autobus che da Zanjan mi ha portato a Tabriz: siamo state insieme a girovagare nel kilometrico bazar prima che lei andasse all’appuntamento con lo psicologo. Una volta o due al mese, prende l’autobus, si fa trecento kilometri ad andare e trecento a tornare, per andare dal miglior psicologo dell’Iran. “Sono sette mesi ormai che ci vado. Devo risolvere questo problema: devo dimenticare Fardeh, ma e’ dura”. Ogni volta che lo nominava aveva il magone alla gola.”Tempo fa sono passata da una gioielleria ed ho visto in vetrina un anello uguale a quello che mi aveva regalato lui. Sono entrata ed ho chiesto se me lo facevano provare. E’ stata un’emozione immensa”.
Ho capito che quel fatidico momento e’ stato anche l’inizio dell’anoressia. Somayeh e’ dimagrita 17 chili in questi mesi. Per lei mangiare e’ davvero un problema: ha impiegato mezz’ora per buttar giù tre fette di cetriolo.
Anche Vahid e’ stato fidanzato per quattro anni.
Il giorno che ando’ dal padre della sua ragazza per chiedergli di sposarla, l’uomo oppose un netto rifiuto. Anche lui da quel momento disse a se stesso che non si sarebbe mai sposato.
Somayeh prima di lasciarmi mi ha detto “sono felice di averti incontrata”. “Anch’io” le ho risposto. E ci siamo abbracciate.
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