di Andrea Semplici.
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Come è bella, Annemarie. ‘Bella ed esile come un giunco piegato dal vento’. La sua bellezza, ha scritto chi l’ha amata, era ‘oltraggiosa’. Quando un doganiere le chiedeva quale fosse il suo mestiere, lei rispondeva: ‘uccello migratore’. Nel 1933, a venticinque anni, si incamminò sulle strade dell’Asia. Su quei cammini infiniti, precedette Robert Byron. Lei, giovane, colta, ricca, cercava, con ansia, ‘ragioni di vita e scrittura’. Il suo viaggiare era ‘una iniziazione’ e ‘una fuga’. Coloro che la incontravano se ne innamoravano al primo sguardo. Abbagliava uomini e donne, Annemarie. Faceva perdere la testa. E lei era la prima a perdersi. Da qualche parte ho letto che era ‘un angelo sconsolato’. Anzi, un ‘arcangelo sconsolato’.
Annemarie Schwarzenbach era nata a Zurigo nel 1908. Famiglia di facoltosi industriali della seta. Una madre opprimente, un universo di silenzio attorno a quella figlia. Ebbe un’educazione raffinata, era una ragazza dal grande e ambiguo fascino: ha un aspetto androgino, veste spesso in abiti maschili. A 22 anni, Annemarie entra nella cerchia elitaria della famiglia Mann. E’ amica di Erika e Klaus, i figli di Thomas. E’ più che un’amica: si innamora di Erika. Appare prediletta dalla fortuna, Annemarie. Ma l’inquietudine è la sua bussola per trovare una disperata salvezza. E’ davvero una donna in fuga. Una donna che cerca. Una donna sola. Fragile. Autodistruttiva. Una donna sempre in bilico. Il viaggio, il movimento le dona un illusorio equilibrio.
Nel 1939, quando l’Europa sta per andare in pezzi, Ella Maillart, un’altra scrittrice, e Annemarie partono da Ginevra a bordo di una Ford 18 cavalli. Dirette in Afghanistan. Un viaggio che valeva una vita. Percorrono ventimila chilometri fino al Khyber Pass. Annemarie fotografa, ma soprattutto scrive. Scrivere è il suo destino. Già, ‘chi non scrive è disarmato’. Riempie centinaia di pagine. Scrive romanzi, poemi, racconti, reportages, novelle, lettere. La scrittura è conoscenza di sé, sapere del mondo. Perde il suo primo dattiloscritto, smarrisce i suoi frammenti, non ritrova i suoi appunti. Il suo primo libro andrà al macero. Si crea, con le sue stesse parole, ‘un labirinto senza uscita’. E’ vittima del suo talento, Annemarie. Fra il 1933 e il 1942 scrive 350 articoli. Dicono che a Berna siano conservate almeno 50mila fogli colmi della sua scrittura. ‘E quasi impossibile concepire che qualcuno possa aver scritto tanto in così poco tempo’.
La vita di Annemarie è irraccontabile (ma a raccontarla vi è riuscita, magnificamente, Melania Mazzucco in Lei così amata -Rizzoli, 2000): amori appassionati, donne che l’adorano (fra queste Carson McCullers), un matrimonio con un diplomatico francese, le tenebre della depressione, smarrimenti nella morfina e nell’alcool. E i viaggi come antidoto meraviglioso: ‘Voglio essere la straniera, la vagabonda, la pellegrina errante su tutte le strade del mondo’. Ecco, quindi, l’oriente, le steppe asiatiche, Parigi, Berlino, l’Afghanistan, le foreste del Congo, Tehran, la Russia di Stalin e la Spagna mentre infuria la guerra civile. Viaggia leggera, ricorda chi la incontra lungo quelle strade. Non voleva possedere niente, solo un piccolo zaino.
Dall’Asia torna in Europa. Torna sempre, Annemarie. Non ha pace. E’ il 1940. E il mondo è davvero impazzito nel sangue. E lei, a 34 anni, forse è stanca. Forse, in Africa (dove in un ultimo viaggio ha raggiunto il marito Claude e ha capito di amarlo) ha scoperto che ‘la chiave della felicità non è nascosta in nessun luogo sulla terra’, ma si trova, invece, ‘tra le nostre mani’. Annemarie risale le valli svizzere, ritrova la sua perfetta Engadina. E’ nella casa di famiglia. A Sils-Baselgia. Tra le sue montagne. Là scrive, riscrive l’ultimo libro, quello che ha immaginato in Africa. Forse è serena: ‘per la prima volta le sembrerà di scrivere come ha sempre desiderato’. Ma, ricorda Melania Mazzucco, ‘a un tratto le parole l’abbandoneranno e non saprà più scrivere una sola parola’.
La sua morte sarà banale. Annemarie, in un ‘giorno luminoso’ dell’estate del 1942, cade di bicicletta a pochi passi dalla sua casa. Batte la testa. Raccontano che le cure a cui fu sottoposta furono tremende. Annemarie muore. Sua madre e sua nonna cercarono, in ogni modo di nascondere una vita ‘scandalosa’.
Vi riuscirono. Forse davvero le due donne bruciarono molti dei suoi scritti nel fuoco di un camino. Sicuramente, i giornali, dopo pochi giorni, si dimenticarono di Annemarie. E’ una stella cadente. Scomparve dal ricordo e dalla memoria. Le sue parole svanirono. Sprofondarono fra le carte dell’Archivio di Letteratura di Berna. Ma poi accade, non so come, che riapparvero. A volte sono gli amori ostinati che aiutano impossibili resurrezioni. Nel 1987, con lentezza, le sue pagine riemergono. Pochi anni fa è stato trovato, scompaginato e anonimo, perfino un esile racconto, Vedere una donna ( Saggiatore, 2012), di cui si ignorava l’esistenza. Annemarie diventa, così, una scrittrice di culto, amatissima, quasi venerata da chi ne ha letto le pagine e immaginato la vita. E in lei si ama ‘il suo essere altro’. E, ognuno di noi, come Melania Mazzucco, vorrebbe riavvolgere la pellicola della sua vita, ‘deviarne le traiettorie’.
Vorrebbe concederle altre possibilità. Vorrebbe dirle: ‘Non andare via, resta’.