[testimonial title=”nycontroluce”]
Una città, un’idea, un’immagine ripetuta tante, migliaia di volte nelle note, nelle fotografie e nei ricordi di turisti e viaggiatori, scrittori, artisti ed instancabili sognatori. Quante anime sono contenute in questa piccola isola di Manhattan (in sanscrito Man-hatma la grande anima, mentre manahatta in indiano lenape vuol dire “isola dalle molte colline”)? Quante storie possono essere raccontate attraverso i minuscoli quadratini di vetro che appaiono ripetuti nelle file lineari di palazzi infiniti? Linee rette di straordinaria potenza che si elevano come sfide verso ideali di perfezione (o di vanità), ma anche come capolavori di ingegneria, nidi umani irrigiditi dalle geometria delle strutture severe. In questo ambiente naturalmente cinematografico si muovono ogni giorno le vicende di migliaia di persone che in un’intera vita passata fra le strade affollate probabilmente non si incontreranno mai. La frenesia della metropoli può creare solitudine e ansia. Sulle vie lastricate si può solo andare di fretta (provate ad allacciarvi una scarpa se potete) non si può interrompere il ritmo, il tam tam del tamburo che scandisce implacabile il tempo di una giornata lavorativa. La metropolitana è il simbolo, ma anche il mezzo necessario per viaggiare da una parte all’altra di questa città, isola e stato multicolore, formicaio umano in superficie e sottoterra. Sotto i marciapiedi ci si può muovere ancora più velocemente, ma si presta ancora meno attenzione al prossimo. Tutti sembrano assorti o meglio stregati dallo sfregare il dito sui propri telefoni multi-touch di ultima generazione. Difficile distogliere lo sguardo dai piccoli schermi multicolori piuttosto che guardare il vicino di posto o la persona che ti sta di fronte (sarebbe comunque inutile, neanche loro vi presterebbero attenzione). Gli spostamenti quotidiani sono sempre troppo noiosi per chi vive la città ogni giorno. Eppure credo che chiunque possa sentire quell’energia che sembra scorrere fra i grattacieli più veloce della metropolitana e dei processori dei piccoli giocattoli mediatici. È qualcosa che libra nell’aria, ma anche nella mente, di chi con gli occhi spaesati non può che ricevere a cuore aperto la sensazione di essere davanti ad un microcosmo dotato di sue proprie leggi fisiche e spirituali. Questa forza straordinaria viene gridata e cantata ogni giorno dagli artisti ambulanti, dai mendicanti e dagli invisibili che cercano incessantemente di attirare l’attenzione dei loro impassibili interlocutori, quasi per cercare di svegliarli e dire: “guardami, noi non viviamo nella stessa città”.
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Di Marco Turini