Testo e foto di Luciano Pieri
Rub al-Kali, il Quarto vuoto, dicono gli arabi che fu creato quando Allah divise il mondo in quattro parti: una fu il cielo, una fu la terra, una fu il mare, la quarta rimase vuota e fu il Rub al-Kali.
La città di Ubar ha una storia relativamente più recente, si stima che fu abitata dal 3000 a.c. al 500 d.c. ultimo rifornimento d’acqua per le carovane che, cariche di preziose merci destinate alle civiltà del Mediterraneo, si accingevano ad attraversare l’immensa distesa di sabbia del Rub al-Kali.
Il giro di affari portato dai mercanti che a Ubar facevano tappa, rese cosi ricchi i suoi abitanti che, come spesso accade nelle civiltà che raggiungono un benessere esagerato, finirono con la loro superbia e la loro vita dissoluta per offendere Dio.
Si legge sul Corano che questa città, ricordata col nome di Iram, per i suoi peccati fu fatta sprofondare da Allah sotto terra.
Tutti i deserti hanno la capacità di trasformare la storia in leggenda e la leggenda in storia,
ed anche la leggenda di Ubar fu raccontata dai beduini nelle lunghe notti passate intorno a fuochi di sterpi, sorseggiando tè bollente.
Il mondo della città scomparsa fu conosciuto in occidente attraverso il libro “Le mille e una notte”.
Nella novella “Racconto della fanciulla con le due cagne” la bellissima Zobeide, in viaggio da Bagdad per Bassora, per casualità impreviste, finisce in una città dove ogni essere vivente è stato trasformato in pietra nera e le merci, l’oro, l’argento sono rimasti intatti, a disposizione di chi vuole prenderli.
Per sentire riparlare di Ubar occorre arrivare al 1992 quando un team americano di studiosi specializzati in varie materie scientifiche, riesce a localizzare e riportare alla luce le rovine della misteriosa città e spiegare in parte il segreto della sua scomparsa.
Arrivai a Muscat (Mascate), la capitale dell’Oman, con un volo da Dubai.
Mascate in arabo significa “ancoraggio” e come scrisse un grande navigatore, Ahmad Ibn Majid, nel 1490: “Mascate è un porto unico al mondo, dove è possibile fare affari d’oro ed ammirare meraviglie impensabili altrove.” Ancora oggi è circondata da una magica atmosfera.
Attraverso le montagne dell’Hajar percorrendo Wadi Bani Auf, tra antichissime rocce, fossili e pitture rupestri, arrivare nell’oasi di Nizwa è una piacevole scoperta.
Il forte che la domina, risalente al 1668 ma costruito sulle fondamenta di uno precedente dell’ 845; è di un colore bianco abbagliante come quello dell’abito tradizionale omanita, il dishdasha, un’ampia tunica di cotone lunga fino alle caviglie.
Due cannoni dell’epoca, spianati davanti all’unico ingresso, lo difendono ancora da improbabili attacchi assieme a una cinta ininterrotta di mura merlate dove di notte si aggirano fantasmi di antichi guerrieri, guardiani di una delle più importanti rotte carovaniere.
Siamo alle porte del Rub al-Kali, attraverso un monotono serir di colore grigio arriviamo velocemente alle prime dune del più grande deserto di sabbia del mondo.
Così grande che ancora oggi ci sono zone mai esplorate.
A parte i beduini che lo hanno navigato da sempre grazie al cammello, da loro chiamato Ata Allah (Grazia di Dio), il primo europeo che riuscì ad attraversarlo su di una rotta che scendeva da nord a sud, fu l’inglese Bertram Thomas nel 1931; il secondo fu ancora un inglese John Philby, il terzo, Wilfred Thesiger, nato ad Addis Abeba ma da un diplomatico inglese, che a partire dal novembre 1945 lo attraversò in varie direzioni.
L’impresa riuscì grazie ai suoi amici bedù e fu raccontata nel suo capolavoro “Arabian sands”, un testo base per chi ama il deserto.
Questo libro mi portò nell’Oman e lì trovai dune di una bellezza da togliere il fiato.
S’inizia il percorso, saliscendi in mezzo a dune di sabbia rossa, altissime, insabbiamenti difficoltosi da risolvere, scariche di adrenalina continui.
La sera, appollaiato su di un’alta cresta ho sentito il suono della sabbia, musica di una grande orchestra composta di violoncelli e viole.
Usciamo dalle dune verso sud per un paesaggio piatto e grigio arrivando al villaggio di Shisr dove al margine di case bianche, un’area recintata racchiude la città perduta di Ubar, patrimonio mondiale dell’umanità, coordinate N 18°15’301 E 53°38’947.
Per quanto tempo è stato cercato questo luogo, sopravvissuto nei secoli grazie ai racconti dei beduini intorno ai fuochi nel deserto e dei Rawi, cantastorie itineranti, che nella città del Cairo medievale intrattenevano mercanti, pellegrini, carovanieri, accovacciati all’ombra dei muri delle moschee, ascoltando storie che di volta in volta divenivano romantiche o fantastiche o ricche di suspence.
Storie che parlavano di Ubar, delle sue nascoste ricchezze, del popolo di ‘Ad, misteriosa razza di giganti ai quali il profeta Hud annunciò una tragica fine a causa dei loro peccati contro Dio.
Attualmente a chi visita Ubar si presentano i resti di una piccola città circondata da mura, con i basamenti di otto torri, di una cittadella fortificata e di innumerevoli magazzini e negozi.
Il centro di questa città è sprofondato in una immensa sottostante caverna e questo, probabilmente, fu l’inizio della sua leggenda.
Ubar non finì perchè saccheggiata o distrutta da truppe nemiche o decimata da una epidemia o demolita da un terremoto, ma sparì nella sabbia.
Ci vuole molta fantasia per rivederla nel suo passato splendore ma, secondo me, il bello è proprio qui.
Ripartiamo verso sud per raggiungere la città portuale di Sallalah che fu il principale punto per l’esportazione della mirra e dell’olibano, incenso della più pregiata qualità, venduto a quei tempi a peso d’oro sui mercati del Mediterraneo.
Siamo nella regione del Dhofar, una anomalia climatica nel meridione del Rub al-Kali, dove una catena montagnosa ferma le nubi del monsone che con le loro piogge creano un piccolo eden di verde.
Ai piedi di queste montagne crescono le piante dell’olibano, vegetazione spontanea impossibile da coltivare altrove.
Khor Rori, a 40 chilometri ad est di Sallalah, era l’antico porto della città di Sumhuram, da dove partivano le navi cariche di olibano.
Fu fondata sotto il regno di Hadramaut e fu citata, nel I° secolo d.c., in un testo greco sulla navigazione marittima; qui approdavano anche le navi romane che venivano a caricare ricche merci.
Durante gli scavi, iniziati nel 1952, furono rinvenute tavole contenenti le leggi di stato che disciplinavano la produzione ed il commercio dell’incenso.
Ritornare a Muscat lungo la costa è una scoperta continua di luoghi e situazioni entusiasmanti:
pescatori che approdano direttamente sulla spiaggia, deserti costieri di sabbia bianca, abbagliante, cittadine di case basse, dove la vita si svolge con una lentezza ormai dimenticata nel nostro mondo.
Prima di giungere alla capitale Muscat, è interessante una visita alle rovine di Qalhat, II° secolo a.c., col mausoleo di Bibi Miriam, visto e commentato nei loro diari da due grandissimi viaggiatori del medio evo, Marco Polo ed Ibn Battuta.