Di Paolo Ciampi
Baskau, cittadina della Lettonia, una sosta che non avevo programmato: la stessa guida la definisce senza particolari attrattive, giusto una buona base per la visita al palazzo di Runsdale, questo sì da vedere. Anch’io mi fermo qui per questa ragione e faccio bene: mi piace il contrasto tra la “piccola Versailles” e questa città che deve fare ancora molto per liberarsi dal grigiore sovietico.
Si capisce all’impronta che qui il mercato è stato una promessa non mantenuta, come guardare attraverso una vetrina e non toccare.
Arrivo nella piazza centrale, il palazzo del municipio comunque è stato ben restaurato, mentre dall’altra parte si allineano una trattoria che ha visto tempi migliori, un autoservizio e un estetista. Ma è ciò che scorgo all’angolo, una serie di pietre disposte come a restituire fisionomie di uomini e donne, che attira la mia attenzione.
Pochi passi e scopro che è un monumento alla memoria. Qui un tempo si alzava la sinagoga maggiore di Baskau, i cui abitanti erano in maggioranza ebrei. Oggi di quella sinagoga non rimane niente in piedi e non una sola persona rimane di quella comunità. Gli ultimi furono portati in una foresta poco distante, destinati a una fossa comune.
C’è silenzio, ma questo silenzio si è fatto pieno di voci. Mi ricordo ciò che Romain Gary diceva della sua Vilnius, con le strade piene di ebrei che non ci sono, con i morti che si impadroniscono dei vivi.
Poi passa un auto, il finestrino aperto, una musica a tutto volume che non mi appartiene. Si porta via qualcosa che non è solo il silenzio.