Testo e foto di Francesco Parrella
Sono da poco passate le 14 e la Kumari potrebbe affacciarsi da un momento all’altro. Nel cortile del palazzo c’è un gruppo di turisti composto da una quindicina di persone che da qualche minuto quasi non ascolta più la loro guida che sta spiegando il culto della dea-bambina. Molti continuano a stare col naso all’insù dopo che la finestra centrale al terzo piano dell’edificio, quella più grande, è stata parzialmente aperta e si è intravista pure un’ombra. «Ci siamo quasi», dice ad un certo punto la guida ai turisti “distratti”. Nel cortile s’interrompe il vocìo e cresce l’attesa quando sul riquadro della finestra compare il volto di un uomo.
CHITAIDAR – E’ il maggiordomo della Kumari nonchè sacerdote (Chitaidar). Avrà circa sessant’anni, è seduto, e indossa un copricapo tipicamente nepalese, il Dhaka topi, di colore nero. Scruta con attenzione i visitatori che sotto aspettano impazienti di vedere la Kumari. Un attimo dopo fa cenno ai guardiani giù nel cortile che non ci sono le condizioni per farla affacciare. I custodi invitano nuovamente tutti i visitatori a spegnere le fotocamere e a mettere da parte i telefonini. Fotografare la Kumari nella sua residenza è strettamente proibito. Qualcuno dimostra buona volontà riponendo la fotocamera nel proprio zainetto. Sembra tutto ok. Invece no. Ci sono alcuni visitatori singoli con fotocamere appese al collo che si sono appena spostati su un lato del cortile e sembrano interessati più che a voler vedere la Kumari a cercare piuttosto di fotografarla. E’ a questi che il maggiordomo si riferisce quando con un cenno del viso chiede ai guardiani di fare la massima attenzione. A tutti viene chiesto allora non solo di spegnere la fotocamera ma di coprire anche l’obiettivo. Ci siamo. Manca davvero poco per vedere finalmente la Kumari.
LA KUMARI – Eccola: sembra sorridere, invece è solo un’impressione. E’ seduta affianco al Chitaidar che sorveglia che tutto fili liscio. Si lascia ammirare senza mai guardare nessuno. Ed è un bene. Secondo la tradizione ogni segno che potrebbe derivare dal suo volto non ha mai un’accezione positiva. La sua fronte è dipinta di rosso, i contorni di giallo, con un grande occhio verticale disegnato al centro, (“Occhio di fuoco”), simbolo del potere di percezione e divinazione. Il trucco nero degli occhi è particolarmente vistoso, e oltre ai gioielli indossa un copricapo rosso ad arco fatto sembra di stoffa con ricami a forma di rosa. Gira lentamente la testa prima verso sinistra poi verso destra. I visitatori occidentali che la guardano giù dal cortile rimangono immobili a scrutare il suo volto da cui continua a non trasparire alcuna emozione. Dopo una ventina di secondi la Kumari si allontana dalla finestra e fa rientro nelle sue stanze. Chi vorrà, prima di lasciare il palazzo, potrà comunque portarsi a casa l’immagine ufficiale della dea acquistando una cartolina col suo volto. La Kumari di Kathmandu, la più importante delle Kumari dell’omonima Valle, si concede alla vista di devoti e visitatori ogni giorno tra le 7 e le 9, e tra le 14 e le 16.
CULTO E TRADIZIONE – Il culto risale al VI secolo dopo Cristo. La Kumari, che in nepalese significa vergine, rappresenta l’incarnazione della dea Durga, una delle tante versioni della dea Kali, ed è scelta normalmente tra le bambine di età compresa tra i 4 anni e la pubertà appartenenti alle alte caste buddiste delle famiglie newar residenti a Kathmandu da almeno tre generazioni. Resta in carica fino alla perdita del primo sangue, non necessariamente la prima mestruazione basta anche un graffio. Dopodichè perde ogni venerabilità e ritorna nella sua famiglia con un vitalizio mensile di seimila rupie nepalesi, circa 50 euro. La Kumari per essere tale deve possedere almeno 32 caratteristiche fisiche (perfezioni divine), tra cui un “collo a forma di conchiglia”, “cosce come un cervo”, “voce morbida e chiara come un’anatra”.
LA SELEZIONE – Deve inoltre possedere oltre che una buona mappa astrale, un tempo in sintonia con quella del re, anche un “carattere divino”. Per questo le candidate vengono chiuse in una stanza buia piena di teste di capre mozzate e bufali scannati con uomini mascherati da demoni che cercano di spaventarle. La bambina che non si farà intimorire e riuscirà ad addormentarsi sarà la nuova Kumari, e si trasferirà presso il Kumari Ghar, l’antico palazzo di legno nero intarsiato e di mattoni rossi posto a lato di Durban Square, rimasto pressochè indenne al terremoto del 2015. Fino al 2008 la Kumari non poteva mai uscire dal suo palazzo se non durante la festa annuale del “Kumari Jiatra”, quando per tre giorni viene portata in processione per le vie di Kathmandu. Dal 2008, anno in cui il Paese himalayano da monarchia è diventato una Repubblica, la Corte Suprema nepalese ha stabilito che la Kumari può anche vivere con i genitori e andare a scuola come tutti i bambini.
DALLA DEA ALLE SPOSE – Nonostante il nuovo corso laico del Nepal e le dichiarazioni di qualche parlamentare secondo cui le Kumari “non sono un’istituzione essenziale del nuovo Nepal”, non sarà facile per il Paese himalayano riuscire a «superare» una tradizione che vanta ancora tra la popolazione una profonda venerazione. Così come non sarà facile abolire i matrimoni con spose bambine ancora diffusi tra le caste Newar nepalesi. A marzo il governo ha annunciato, in occasione della lunga visita ufficiale del principe inglese Harry, la fine dei matrimoni precoci “entro il 2030” nonostante “sia una sfida sociale complessa”.
Francesco Parrella