Testo di Andrea Semplici, fotografie di Paola Favoino
Un solo film in concorso al festival di Berlino. ‘Vergine Giurata’ è l’opera prima di Laura Bispuri ed tratto dal bel romanzo della scrittrice albanese Elvira Dones, uscito, per Feltrinelli nel 2007. E’ la storia di una ribellione: per cinque secoli nelle montagne del Nord dell’Albania le donne (perchè non vi sono maschi in famiglia, per rifiutare un matrimonio, per ottenere il rispetto della comunità) decidevano di diventare uomini. Hana, interpretata da Alice Rohrwacher, spezza la ‘besa’, la promessa, è recupera la sua identità femminile.
Paola Favoino ha raccontato per immagini la storia delle Vergini Giurate, reportage apparso sul numero otto di Erodoto.
Link: “Cucito addosso”. Vergini giurate albanesi testo e foto di Paola Favoino
A Torino non credo che nessuno se ne sia accorto. Dall’Albania, a Terra Madre, la grande festa internazionale di Slow Food, a raccontare i prodotti di questa terra, sono venute trentasette persone (contadini, produttori, gente delle montagne). Fra di loro c’era una burrneshë. Parola difficile da tradurre: burrë è uomo, neshë è un suffisso femminilizzante. Una burrneshë è una donna che ha scelto (o è stata costretta a scegliere da antiche leggi consuetudinarie) di diventare ed essere uomo, di vivere la sua vita come un uomo. Queste donne sono conosciute anche come virgjinat e bitume, le Vergini Giurate. La verginità è il loro obbligo. Oggi, fra le montagne del Nord dell’Albania e le solitudini del Kosovo, vivono meno di venti donne-uomo. Nessun censimento è possibile: vi è chi sostiene che siano molte di più. In genere donne anziane. Figlie di una tradizione severa e impenetrabile. Nessuna di loro, ad ascoltare o leggere antropologhe, giornaliste e fotografe – mi sono imbattuto solo in donne che hanno scritto delle Vergini Giurate – si è pentita della loro scelta. Solo sulle pagine di un bel libro (Vergine Giurata della scrittrice albanese Elvira Dones) ho conosciuto Hana (che è stata Mark nella sua vita da uomo) capace di spezzare la besa, la promessa, e di tornare a essere donna (ma ha dovuto migrare negli Stati Uniti per riuscirvi). Uso, allora, le sue parole per far capire l’incomprensibile: ‘Non sono un travestito, un transessuale o un gay. Mai stato niente di tutto questo. Avevo solo giurato di diventare socialmente uomo, costretta dalle circostanze. Lo prevede il Kanun, la raccolta di leggi consuetudinarie dell’Albania del Nord: una donna può diventare uomo, rinunciando per sempre alla femminilità, se lo vuole o se il capofamiglia le assegna questo ruolo’.
Vivere nelle montagne del Nord dell’Albania è solitudine. E’ stata solitudine. Lo è ancora, anche se nuove strade cominciano ad arrampicarvisi. Terre fredde, isolate dal mondo, un universo arcaico e feudale, oppresso, nel ‘900, dal comunismo primitivo e brutale di Enver Hoxha. Oggi anche queste montagne cercano una convivenza con la contemporaneità. Ma la sola legge, qui, è stata (lo è ancora, in realtà) il Kanun, una raccolta di regole dettate dalle consuetudini feudali, raccolte, negli anni ’30 del secolo scorso, da un missionario francescano. Una tradizione che risale al medioevo balcanico. Leggi durissime che disciplinano un mondo maschile. L’uomo è tutto, la donna è niente. Hana rinuncia alla sua bellezza e ai suoi primi amori, perché in famiglia non ci sono eredi maschi. E solo un uomo può ereditare. E Hana dovrà diventare capofamiglia. Non ha altre possibilità. E’ la conquista di una libertà. Non sarà più sottomessa. E’ ‘una libertà senza alternative’. Hana cambierà nome, indosserà solo abiti maschili. Si taglierà i capelli. Giura verginità. Lila, invece, non voleva accettare il marito che era stato scelto dalla famiglia, ma un matrimonio non può essere rifiutato. La gente dello sposo si offenderebbe e s’innescherebbe il sanguinoso rito delle vendette, la spirale feroce del sangui, altra storia onnipresente del Kanun. Lila poteva salvarsi solo diventando uomo. E lo ha fatto. Una donna che sceglie di diventare uomo ha il rispetto della comunità. Ha onore, dignità, forza. La sua decisione è riconosciuta da un consiglio di dodici uomini del villaggio. Una (che articolo devo usare?) burrneshë può andare nella gelida osteria del paese a bere per ore, può fumare (e lo farà più di uomo), può possedere armi e andare a caccia, può lavorare (taglialegna, pastore, camionista, manovale). Rappresenta la famiglia, ne difende il ruolo sociale, acconsente al matrimonio delle sorelle.
Tutte le donne occidentali che hanno salito le montagne del Nord dell’Albania attratte dalla storia, straordinaria e terribile, delle burrneshë, ricordano: ‘Nessuna di loro ha rimpianti’.
Da leggere: Elvira Dones, ‘Vergine giurata’, Feltrinelli
Bellissimo il lavoro sulle Vergini Giurate di Paola Favoino.
Da vedere anche le fotografie di Jill Peters, una fotografa americana
L’antropologa inglese Antonia Young ha scritto: ‘Women who become men: albanians sworn virgins’