testo e foto di Eliana Petrizzi
Sorvolando in aereo il mondo, fiumi, regioni e città somigliano a piccole macchie di malattia. Mentre si dissipano fibre, racconti e memorie, il viaggiatore si svuota, comparandosi ad ogni cosa. Una volta arrivati nel luogo prescelto, le scarpe del viaggiatore vanno senza rumore, in segno d’intimità e rispetto. I suoi abiti stringono un patto coi colori del paesaggio; le braccia si fanno mansuete come gli arnesi usati dalla gente dei villaggi.
Il viaggiatore lascia correre e perdona; gli stanno bene i ritardi, le ruote bucate, le aspettative deluse e le imperfezioni, perché ha imparato che il brutto, più che un’obiezione alla bellezza della vita, è spesso il palo a cui tieni legato l’aquilone.
Il viaggiatore vive con la gente; spesso resta in silenzio cercando di capire, in una doverosa revisione di se stesso.
Ho iniziato a viaggiare a 18 anni, con tutta l’audacia che la giovinezza comandava. Da sola e senza programma, votata alla passione dell’imprevisto e al rischio delle contingenze, incurante persino dell’angoscia di mia madre, che per giorni non poteva ricevere mie notizie, persa com’ero in luoghi remoti del pianeta. In questo modo, non in altri, ho potuto conoscere il mondo, incontrare popoli e sciogliermi nel loro calore. Sono grata perché ho viaggiato in tempi in cui era possibile per una donna andare da sola. In quegli stessi luoghi sarebbe oggi impossibile recarmi.
Il mondo si è fatto piccolo, a causa della globalizzazione e della crudele stupidità degli uomini. Anche meno interessante: troppo spesso, i riti e le tradizioni dei popoli diventano spettacoli recitati ad hoc per un manipolo di turisti paganti, nel circo dell’antropologia da selfie. Quando per un motivo o per un altro non posso viaggiare, guardo in TV documentari di viaggio. Ma c’è una cosa che nessuna foto, video o documentario potranno mai sostituire: è l’abitudine allo stupore, vivere il tempo senza calendari, orari, impegni e aspettative; è meravigliarsi di ogni cosa e persona, in una ritrovata appartenenza alla grande anima del mondo. Aspetto ogni giorno nuovi luoghi per lo stupore che, ho imparato, sono molto più prossimi di quanto non si creda. Ci sono partenze che procurano pericolose forma di ignoranza. Sfiducia, presunzione, pregiudizio e indifferenza, garantiscono a ciascuno solo la mediocrità della sopravvivenza. E invece, tante volte, uscendo dalle proprie case e affilando negli occhi un’attenzione diversa, il viaggio comincia anche senza partire. Si diventa viaggiatore nella tensione costante verso chi non siamo e verso chi non ci rassomiglia. Quando non comprendiamo la diversità di chi ci vive accanto, il mondo si chiude e si fa amaro. Il rimedio è andare, fare, donare sempre e ovunque, operando la fede come lavoro gioioso, attento e disponibile: viaggio plurale, biglietto senza ritorno.
Foto: alcuni miei scatti in Indonesia, Thailandia, Egitto, Marocco, Cina, India, Mali, Venezuela, Guatemala, Birmania, Cambogia, Nepal, Tunisia, Repubblica Dominicana, Cuba.