testo e foto di Andrea Semplici
E dalla Lucania arriva la notizia. Ha attraversato gli oceani. Lo saprò in ritardo. Se ne è andato Antonio Infantino. Se ne è andato un pezzo di musica e una storia al vento. Se ne è andato il rullo dei tamburi e la chitarra battente e il gracchio della voce. Quel gesto con le mani sul collo, trasformare la gola in strumento.
Per me, Antonio è un ricordo fiorentino. Un ricordo di ragazzo.
Ascoltavamo i Beatles e i Rolling Stones, eravamo alle superiori e a un passo (all’università, alla Flog – chi è di Firenze sa cosa è la Flog, un luogo di musica) c’era un uomo del Sud che suonava strane chitarre e strani strumenti e faceva muovere le gambe e non le potevi fermare. Ho ancora un disco, un long playing dalla copertina blu scura: I Tarantolati di Tricarico.
Scoprimmo questa musica prima di scoprire il Sud.
Mille anni per riascoltare Antonio in una piazzetta di Aliano, avvolto in una sciarpa bianca. E baruffare con i suoi ragazzi, sempre affamati, al buffet. E sentirlo litigare nella sua giacca di velluto marrone anche in estate.