Testo e fotografie di Roberto Campoli
Il poeta dice di concedersi una vacanza attorno ad un filo d’erba, immagino, lontano dai clamori della folla. Ed è così che con le mie figlie ci concediamo una vacanza in mezzo all’oceano, isole Azzorre, isole dei gabbiani, sogno nel cassetto di non so più quanti anni fa. Qui anche l’erba sembra un mare…una vacanza intorno a milioni di fili d’erba. E ci credo, con tutta la pioggia e l’umidità che c’è. E quasi quasi ti chiedi cosa ci fanno città e paesi, lì in mezzo all’ atlantico, probabilmente a metà strada tra casa mia a Genova, e Boston.
Quando arriviamo di sera a Ponta Delgada , isola di São Miguel, la più grande dell’arcipelago, troviamo pioggia e quasi nessuno per strada… trovare qualcuno che ci indirizzi al nostro hotel dal sapore vagamente coloniale , non è impresa facile.
La sola persona che incontriamo è gentile e semplice… non so come, ma parliamo in portoghese e sento subito che il posto è quasi casa. Non so perché, ma mi sorridono gli occhi, non sento lo spaesamento che da troppo tempo mi sta affianco. Non posso non ricordare le persone dell’hotel immerso in un parco lussureggiante… esseri forse antichi, disponibili senza affettazione, a volte ti avvolgono con suadente dolcezza… rimani vagamente ipnotizzato e speri che duri.
Ricordo i primi giorni e i nostri tentativi, a volte vani, di visitare le lagune mozzafiato scavate nelle caldeiras dei vulcani… umidità feroce, una maccaia al quadrato, nuvole avvolgenti, muschio sull’asfalto, ortensie in fiore a non finire ai bordi delle strade più belle mai viste (non sono un gran viaggiatore).
Un mondo umido e rigoglioso, solitario in cui è bello immergersi e incontrare qualche rara presenza umana che ti guida nello spesso nevoeiro che non dà tregua…vaccari sorridenti, forse ignari delle nostre preoccupazioni, me li immagino ignari delle categorie di tempo e spazio, quasi fosse normale per loro il vivere perdendosi dietro le vacche, nelle nebbie e nell’assenza di orologi. Forse ho sfiorato il naufragio, quello dolce, che sottilmente cercavo.
Le mie figlie sembrano non soffrire di questo vagare senza punti di riferimento, in mezzo ad una natura che intuiamo potente. I giorni seguenti ci regaleranno sole, mare, lagune verdi, acque solforose e la sensazione di trovarsi bene con queste persone spesso semplici, dai sorrisi candidi, a volte un po’ saturnini, a volte lentissimi, a volte volte non sai bene. Di sicuro non hai la sensazione che vogliano splpare il turista o viaggiatore che sia. Inutili le ricerche delle poesie di Antero de Quental, grande e quasi sconosciuto poeta socialista di Sao Miguel. Commovente cantore di venti, rocce, infiniti sui quali affaccciarsi, forse delusi da come va il mondo, oggi e allora.
Mi dicono che forse lo avrei trovato nella libreria del centro commerciale dell’isola. Sarà, ma le mie cecità selettive non mi hanno fatto trovare il luogo. L’isola di Faial è molto internazionale, dicono le guide e in effetti ha un suo posto nella storia degli attraversamenti oceanici e anche in quella delle trasmissioni sottomarine tra i due continenti.
E’ qui che Tabucchi ambienta il femminicidio per troppo inganno di “Donna di porto Pym”. Proprio qui c’è l’unica spiaggia con un po’ di gente, spiaggia che dà sul vecchio balenificio dove avveniva la macellazione dei capodogli che venivano cacciati dai tempi di Moby Dick fino a pochi anni fa. Qui sulla spiaggia è bello farsi baciare da un sole che non avresti detto così potente, qui è bello immaginarsi uno dei bambini i cui lamenti vengono dolcemente cullati dalla suadente cantilena delle mamme. Difficile sentirle urlare. Poco più a praia di Almoxarife, spiaggia di pochi locali dove ci piaceva arrivare poco prima del tramonto e sentire il freddo rigenerante dell’oceano e finalmente confondersi con esso, presagire i suoi abissi .
A Faial, nello spazio d’acqua che la divide dall’isola di Pico, vulcano di 2300 metri, si va sui gommoni per ammirare la maestosità del capodoglio, non più braccato dagli arpioni dei tristi umani, ma solo dalle mille macchine fotografiche di oggi. E se poi non incontrate capodogli o delfini, si vola sulle onde, ci si fidanza col vento di mare, vento che ritroverete per tutte le isole, a volte davvero ruggente.
A Faial andate a Capelinhos, pezzo di isola sorto nel 1957 e camminate sulla luna, ma con vista mare, vista muschi e perdetevi lassu, provate uno dei tanti brividi che danno queste isole in cui è facile molto facile ritrovarsi soli, ma in compagnia del grande tutto. E poi se siete fortunati, in qualche sagra del mare sotto la luna piena, sentirete le musiche di qui, l’alternarsi di stralunati cori maschili e femminili e anche la musica vi apparirà semplice, elementare, ma non priva di una sua grazia che rimane dentro. Arriviamo poi a Terceira , la terza isola per i descubridores e anche per noi.
Qui abbiamo trovato una casa distante da tutto, immersa nel vento e nel verde, immancabile vista oceano. Ho qui netta l’impressione che lunghi tratti di case sulla strada vogliano quasi proteggere gli umani dalla vista dell’oceano, come se troppa bellezza fosse inquietante quasi a ricordarci l’impossibile pensiero che siamo natura, anche noi.
A Terceira vento costante, ululante che si infila dappertutto e leva l’odore di muffa dalla nostra casa e non so se anche dalla mia testa. Il capoluogo Angra d’ Heroismo è semideserto, antico, coloniale, non sai bene cosa fare, se non osservare lo squaletto spiaggiato che arriva fin dentro il cuore della citttà. Forse sarà parente del grande pesce, forse anch’esso squalo, forse pesce luna, che ha transitato in mattinata non troppe spanne lontano da me mentre nuotavo forse troppo al largo. Ho capito cosa è il terrore, anche se per poco.
C’è poi la grande spiaggia di Praia de la victoria, clima da fine del mondo e, nonostante l’ottimo pesce mangiato, sembra non succeda nulla, tutto sospeso. A Terceira si sente tantissimo il nulla o il tutto, non so, dipende dall’umore, sai di essere in mezzo all’occidente , quello vecchio e quello nuovo (?), ma ti senti dimentico dell’occidente stesso, sei spazzato dal vento e lo preferisci alle touradas, dove la gente, forse stanca di troppi silenzi, si fa inseguire e talvolta arpionare da un toro mezzo libero, mezzo alla corda.
Qui hai voglia di cercare qualche scoglio isolato dove far affiorare i ricordi per diluirli nell’acqua dell’oceano… qui a differenza dei vari finis terrae sento il sentimento oceanico di cui parlava Romain Rolland, quella malia che ti fa sentire per un attimo parte del tutto, che ti ispira un senso religioso, ma non di religione, e, con Antero de Quental, senti di tendere le mani verso l’infinito, con l’illusione di cogliere almeno per un attimo il senso del tutto.
Roberto Campoli nasce nel 1959 a Genova dove tuttora vive e opera come psicoanalista ed artista.Viaggia raramente e predilige posti che preferibilmente abbiano vista mare. Ha due figlie che non disdegnano di accompagnarlo in tali cammini.Viaggia molto stando sulla poltrona del suo studio dove accompagna le persone che si rivolgono a lui, per un viaggio interiore che si spera rigenerante, pur con tutte le buche del caso. Nella sua attività artistica mette insieme e cerca di trasfigurare tutto ciò che incontra di malconcio e abbandonato.