Testo di Enrico Cerrini, foto di Hua Wang

Tra le grandi capitali europee, mete privilegiate di soggiorni turistici, spesso non rientra Bucarest, considerata troppo insicura e poco attraente. Se la Romania contiene numerosi luoghi che attraggono l’immaginario collettivo, la sua capitale sembra rimanerne fuori, come un essere a sé stante. Al tempo stesso, per raggiungere i luoghi più affascinanti del paese dobbiamo transitare da quest’oggetto misterioso, circondato da una pesante aurea. Un’aurea dove si avventano cani randagi, piccoli rapinatori, mafiosi, e quant’altro, concentrati in una delle città a più alta densità abitativa d’Europa.

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Il film statunitense “Charlie Countryman deve morire”, in cui i gangster si scontrano per il controllo del territorio e delle donne, riassume tutti i pregiudizi occidentali rispetto alla capitale. L’ignaro ragazzo americano protagonista del film sembra vagare in modo abulico, inconsapevole dei rischi che corre, mentre chiunque gli consiglia di dirigersi verso la più pacifica Budapest. Ma la cinematografia americana non è l’unica fonte che consiglia di tenere gli occhi bene aperti a Bucarest. La famosa guida Lonely Planet avverte che dei cani randagi sono stati capaci di uccidere un uomo d’affari giapponese alcuni anni fa. Gli stessi rumeni consigliano di stare alla larga dai bancomat che attirano ladruncoli da ogni dove e prefigurano catastrofi per chi resta imbottigliato nel traffico.
Il nostro affittacamere si trova vicino alla stazione ferroviaria Besarab, succursale della più grande stazione Nord. Date le preoccupazioni di vario genere, preferiamo evitare un brusco impatto con la stazione principale e lasciamo la navetta di collegamento con l’aeroporto in Piazza Victoriei, una delle principali della città. Da qui raggiungiamo la camera via tram, lungo una via moderna, composta di uffici e fast food alla moda. Non c’è alcuna traccia della pericolosità tanto descritta dalle varie voci, non si vedono né cani randagi né avventori spaventosi. In un piccolo casotto, ubicato in prossimità della fermata, una donna ci vende una carta che funziona da biglietto per autobus e tram. La donna ci insegna come obliterare la carta, ma la sua voce, proveniente dal profondo del casotto, è incomprensibile. Dobbiamo passare la carta due volte o premere due volte il pulsante? E quale pulsante premere visto che ce ne sono due? Fortunatamente, una volta sul tram, una luce verde ci dice che abbiamo fatto qualcosa correttamente.

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Come il resto dell’ambiente, anche la metro con cui raggiungiamo Piazza dell’Università appare tranquilla e sicura. Transitiamo lungo un viale dove si svolge un festival e la radio trasmette, ad alto volume, una musica vitale e intensa che rimbomba nell’aria per poi inoltrarci nella parte più antica della città, dove le strade si fanno più strette senza ottenere il fascino di altre città europee. Visitiamo alcune chiese ortodosse, ci affacciamo davanti al palazzo CEC, uno dei più belli di tutta la città, per poi uscire dal centro e dirigerci verso Piazza Unirii, snodo cruciale dei mezzi pubblici. Per la prima volta non ci sentiamo completamente al sicuro, in quel crocevia di gente indaffarata in cui si può nascondere qualsiasi cosa. Usciamo dalla piazza velocemente per dirigerci nell’ultima parte del boulevard Unirii, dove le auto scorrono ai lati di fontane danzanti poste al centro della via, mentre la zona pedonale, fresca e alberata si delinea ai lati.

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Al termine del boulevard, si staglia il palazzo del Parlamento, edificio simbolo della città, il palazzo pubblico più grande del mondo dopo il Pentagono, voluto da Nicolae Ceausescu, l’uomo che guidò la Romania durante gli anni del comunismo, prima come presidente e poi come dittatore. Per ironia della sorte, davanti a questo edificio, creato da un partner infedele del patto di Varsavia, che legava l’esercito rumeno a quello sovietico, oggi notiamo le bandiere dell’Unione Europea e della NATO. Quest’ultima non appare certo necessaria e sembra solo rappresentare la vendetta della storia che si ritorce contro i suoi fieri protagonisti.
L’interno mostra la follia che ha partorito quell’ostentazione di potere. Ogni stanza ha un suo stile, ogni manufatto è stato deciso nei minimi dettagli e costruito da lavoratori rumeni con materie prime rigorosamente locali. Circa un milione di persone sono state coinvolte direttamente o indirettamente nella creazione delle sale e dell’artigianato al loro interno. Nicolae Ceausescu e la potente moglie Elena glorificarono la loro nazione per glorificare sé stessi pensando di rappresentarne l’essenza stessa. Nelle stanze del palazzo si percepiscono le tracce della svolta autoritaria della coppia. Ai rumeni piace ricordare come la svolta sia avvenuta a seguito del loro viaggio in Cina e sopratutto in Corea del Nord, alla corte di Kim il Sung, Presidente eterno. Come a voler riprodurre i fasti coreani, una delle stanze del palazzo possiede una particolare acustica, dove l’eco amplifica il rumore del battito delle mani, in modo da moltiplicare l’apprezzamento per la coppia presidenziale.
Dalla terrazza del palazzo si può osservare il piatto panorama di Bucarest. Non si intravedono montagne, solo qualche palazzo di epoca comunista, qualcosa di più moderno e le cupole di poche chiese. Nel giardino dietro il palazzo si sta costruendo un altro edificio imponente, che diverrà la più grande chiesa ortodossa d’Europa. Come a dire, le dittature passano, ma le idee folli restano, anche in democrazia. Anche il quartiere attorno al palazzo, specialmente il boulevard Unirii, fa parte della gloria del dittatore. Nel 1977 un terribile terremoto colpì la capitale e distrusse gran parte dell’elegante Bucarest ottocentesca, che prendeva il nome di Parigi dell’est. Nicolae Ceausescu non si limitò a ricostruire ciò che fu distrutto, ma abbatté anche altri edifici storici per far posto ad un’urbanistica razionalista, presa in prestito dalla Nord Corea, ben più adatta alla celebrazione del suo potere.
Ritornati in centro notiamo con piacere un ufficio informazioni turistiche. Sopraffatta dal timore iniziale, Hua non esita a chiedere se ci siano ancora cani randagi. Il simpatico ragazzo afferma che ormai tutti i cani randagi sono stati portati via pochi anni fa. Possiamo continuare il nostro viaggio ancor più tranquillamente, osservando come le chiese ortodosse si alternano ai locali della vita notturna, dove i giovani turisti e gli studenti universitari si recano per fare baldoria, bere birra e mangiare qualcosa. Di solito, le chiese ortodosse ci hanno abituato a immagini macabre di torture inenarrabili inflitte sui corpi di peccatori o di santi in procinto di beatificazione. A Bucarest non osserviamo niente di tutto questo, ma l’atmosfera non è più leggera. Le chiese sono cupe, la luce è scura e il modo con cui i fedeli si presentano al cospetto dell’altare possiede qualcosa di lugubre, come se durante la preghiera si dovesse fare completa ammenda dei propri peccati.
Tra le vie del centro risaltano le rovine della fortezza di Vlad Tepes, ovvero Vlad l’Impalatore, il personaggio storico a cui Bram Stoker affibbiò la figura di vampiro. Questo sarà solo il primo impatto con quel personaggio leggendario, simbolo stesso della storia rumena. Ma l’elemento più significativo è indubbiamente il caravanserraglio. Ormai sede di un grande ristorante, appare troppo ordinato per dare un’impressione vitale del caos lasciato dai viandanti che qui dimoravano in direzione della sublime porta. Ma mantiene ancora quel fascino orientale che solo questi antichi non luoghi possono avere.
Poco fuori dal centro si dilunga Calea Victoriei, la via principale di Bucarest, dove si possono ancora intravedere alcuni palazzi in stile liberty. Qui ci immergiamo nelle sale della galleria nazionale d’arte, scavate nel vecchio castello reale, e osserviamo i capolavori dell’arte occidentale come ci incuriosiamo di fronte a quella rumena, che mescola l’arte sacra a materiale moderno, decisamente più interessante. Risaltano davanti ai nostri occhi sopratutto i quadri che rappresentano l’irredentismo rumeno, i quali ricordano vagamente i piacevoli dipinti del nostro Francesco Hayez. Nella medesima via, possiamo intravedere il teatro dell’opera e il curioso monumento alla rivoluzione democratica del 1989.

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Dopo il primo impatto, trascorriamo ancora un giorno nella capitale, a seguito di una settimana in cui abbiamo attraversato la Transilvania, la regione più famosa della nazione. Durante il nostro ultimo giorno in terra rumena, ci rechiamo al museo villaggio delle tradizioni contadine del popolo . Puntualmente, mi riaffiora alla memoria il meraviglioso museo di Turku, in Finlandia, dove sono presenti case tradizionali al cui interno si intravedono meravigliose ragazze che svolgono lavori tradizionali dell’artigianato finlandese. Quello di Turku è un luogo magico, fuori dal tempo. Altri musei simili, sparsi per l’Europa, non lo sono. Quello di Bucarest, per quanto imponente, non fa eccezione.

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Il villaggio museo ospita numerose case e alcune chiese provenienti da tutte le regioni che formano la nazione. Si possono osservare case contadine di ogni genere, la maggior parte datate nell’ottocento. Vengono dalla Bucovina, dalla Valacchia, dal Maramures, dal delta del Danubio per ricordarci come vivevano i contadini nei propri villaggi. Sfortunatamente, la maggior parte dell’ambiente è visitabile solo esternamente, e non c’è alcun tentativo di ricreare le atmosfere passate. Il museo appare come una distesa di casette, interminabile e poco coinvolgente. Solo i gatti che popolano il museo rendono l’ambiente meno freddo e distaccato.
Alla fine del tragitto possiamo osservare l’Arco di Trionfo, posto a copia di quello parigino, il quale celebra la vittoria nella prima guerra mondiale. Dopo il villaggio, decidiamo di ritornare a seguire le orme del dittatore comunista, recandoci al palazzo Primavera, residenza ufficiale di Nicolae Ceausescu. Qui incontriamo la sua vita lussuosa in un paese economicamente al collasso. Ogni stanza ha il suo fascino, con decorazioni in stili diversi, dall’inglese al tedesco. La grande piscina, il giardino interno e quello esterno, oltre che il cinema casalingo, rappresentano, per il popolo rumeno, l’esempio più evidente di come il potere corrompe le persone. Perché, ricorda la guida, Nicolae non è sempre stato così, ma diventò comunista proprio per combattere i lussi e i vizi della classe reale.
Il popolo rumeno riconosce al dittatore l’idealismo iniziale e l’abilità diplomatica, di cui l’arredamento della casa ne è testimonianza. Malgrado l’alleanza con l’Unione Sovietica, fu abile a tessere una rete di amicizie globale, capace di mettere insieme tutto e il contrario di tutto. Si intravedono, infatti, i regali di dittatori sanguinari, come Mobutu Sese Seko, Jean-Bedel Bokassa e Mohammad Reza Pahlavi, assieme alle foto della visita di Richard Nixon e Henry Kissinger, fino alle testimonianze dell’amicizia sia con Israele che con Yasser Arafat e l’Egitto di Anwar al-Sadat. Mentre si districava in questi equilibrismi geopolitici, il principale nemico diventò proprio l’alleato, sospettoso delle mosse del paese latino.
Se le relazioni internazionali furono il punto di forza del dittatore, l’economia fu il suo punto debole. I rumeni vivevano in una condizione di uguaglianza nella povertà. Il debito con il Fondo Monetario Internazionale divenne insostenibile e, per ripagarlo, i rumeni furono impossibilitati ad accendere la corrente elettrica più di due ore al giorno. Nel frattempo, le maglie del potere si fecero più strette, contestualmente all’ascesa della moglie Elena a vicepresidente. La temibile Securitate, la polizia segreta, si mostrava sempre più invasiva e repressiva nei confronti del popolo. E quest’ultimo, reagì puntando il dito sopratutto verso Elena. Ancora oggi è lei a incassare i più pesanti strali.
Ce ne andiamo da Bucarest prendendo l’autobus per l’aeroporto. Notiamo un piccolo televisore che trasmette le istruzioni per obliterare il biglietto, ovvero l’unica difficoltà che abbiamo incontrato nella visita della città. Se Bucarest appare come una città che manca di magia, di qualcosa che rapisca lo spettatore, chi la visita può mettere in soffitta le inutile preoccupazioni e godersi questa città strana, forse fredda, ma interessante esibizione del potere del suo ultimo re. Un re venuto nella capitale da un villaggio contadino, che lavorava come lustrascarpe per sopravvivere, e che, animato da ideali egalitari, si fece strada nel partito comunista, fino a essere amato dal suo popolo nei primi anni della sua presidenza quanto odiato negli ultimi anni della sua dittatura.