Testo di Isabella Mancini, foto Alessandro Bartolini
Primo maggio. Festa dei lavoratori, giornata di celebrazione dei progressi ottenuti dalle lotte sindacali e operaie del secolo scorso. Siamo nel 1977, i più grossi sindacati turchi indicono una manifestazione. Sono in 500mila in Piazza Taksim quando dal tetto di un albergo iniziano a sparare sulla folla. Furono uccise 36 persone, 140 ferite, nessuna chiarezza è stata fatta in questi trentotto anni sui colpevoli della strage. Quattro le persone, almeno dalle indagini dopo il 1° Maggio, uccise dai colpi di pistola, le altre furono uccise dalla folla in fuga, attaccata dalla polizia. Quasi cinquecento le persone fermate nei giorni successivi ma nessuno è mai stato processato per l’accaduto.
Dal 1977 la piazza è stata vietata per la celebrazione del 1° Maggio. Dal 2000 ogni anno si cerca di entrare in quella piazza per poter festeggiare il Giorno dei Lavoratori e commemorare le vittime di quella strage. Tanti dinieghi e manganellate per chi provava a farlo ugualmente. Poi nel 2010 il governo concesse nuovamente la piazza, fino al 2013 quando fu deciso, per lavori, di chiuderla alle manifestazioni. Erano i lavori per la costruzione di un nuovo centro commerciale e appartamenti di lusso al posto del parco Gezi, quello per cui, per tre mesi, si sono battuti centinaia di migliaia di uomini e donne: 9 morti e centinaia di feriti.
Gli incriminati del movimento di Gezi Park, ventisei persone in tutto, sono stati assolti a fine aprile di quest’anno, tra loro anche il presidente dell’Ordine degli Architetti e il segretario generale dell’Ordine degli Ingengneri di Istanbul, Mucella Yapici e Ali Cerkezoglu.
Il 17 aprile c’è stata un’altra importante sentenza: il ventesimo Tribunale Penale di Istanbul, in base alla decisione della Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha dichiarato che andare a Piazza Taksim senza autorizzazione il 1° maggio non è un reato ma un diritto costituzionale. Tutti e trenta gli imputati di manifestazione abusiva (2013) sono stati assolti.
Amnesty International ha rilevato che negli anni, quando è stata data l’autorizzazione alla manifestazione, tutto si è svolto pacificamente, mentre negli anni di negazione “si è constatato l’uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine contro i manifestanti, con feriti e gravi disagi”. La Corte europea dei diritti umani ha stabilito che il comportamento tenuto nel disperdere i manifestanti il 1 maggio 2008 aveva violato l’articolo 11 della Convenzione europea dei diritti umani (libertà di riunione pacifica) nel caso Kesk e Disk contro la Turchia.
Sempre ad aprile di quest’anno è stata approvata dal parlamento turco una nuova legge sulla sicurezza che dà alla polizia maggiori poteri di intervento. La legge è stata approvata con una larga maggioranza, ma l’opposizione ha detto che farà appello alla Corte suprema per ottenerne l’annullamento. Secondo i critici del governo, la legge servirà a reprimere le manifestazioni di protesta in vista delle elezioni legislative del 7 giugno.
Ed è arrivato il 1° Maggio 2015. La città è stata chiusa. Il ponte di Galata transennato, niente traffico, nessuna auto, qualche taxi ottiene il permesso di passare, nessun pulmino o altro mezzo. Transennato anche il marciapiede e nessuno a pescare questa mattina. Anche il ponte Ataturk, poche centinaia di metri più avanti, è chiuso al traffico. Davanti alla fermata della tramvia di Karakoy decine di agenti di polizia, caschi e manganelli a terra. I manifesti in città annunciavano una dimostrazione, a lanciare l’appello gli studenti universitari ma nella notte migliaia di agenti avevano posizionato migliaia di transenne, alte un paio di metri, a chiudere tutte le vie d’accesso a Taksim.
Iniziamo a salire verso la torre di Galata, proseguiamo ancora per Istiklal Caddesi, il giorno prima piena zeppa di passant e turisti, oggi deserto di serrande abbassate. All’altezza del Liceo Galatasaray ecco le prime transenne. Come noi altri turisti provando a chiedere accesso, mancano 850 metri a piazza Taksim. Niente da fare, respinti. Chiediamo informazioni a un ragazzo che gestisce un negozio di abbigliamento giovanile, “non ho idea di come potreste fare a raggiungere la piazza – ci dice un po’ imbarazzato – proviamo a dimostrare pacificamente ma ci impediscono di poterci radunare in piazza per poterlo fare”. Proseguiamo il nostro sali e scendi, sali e scendi, tra strade e viuzze svuotate, senza passanti, animate solo dal miagolio dei gatti.
Proviamo a risalire da Cukur Cuma, Akarsu Yks, poi da Samanyolu Sk, Cihangir e Mebusan: niente da fare, solo transenne e polizia. Non abbiamo internet, non possiamo cercare informazioni su dove siano i manifestanti e dove la manifestazione. Sappiamo che c’è, l’elicottero delle forze armate vola sui cieli della città. A sera scopriamo che eravamo lontani, molto, dal luogo della manifestazione bloccata. A tre chilometri di distanza, a Besiktas. Attorno alle quattro del pomeriggio il traffico era ancora bloccato su entrambi i ponti. Il giorno dopo compriamo un giornale in inglese, il Daily Sabah, che racconta degli scontri e dei manifestanti che volevano oltrepassare la zona rossa bandita alla manifestazioni e delle dichiarazioni del primo ministro, Tayyip Erdogan, sulle motivazioni che hanno spinto a non concedere più quella piazza: “Le manifestazioni a Taksim bloccano tutta la città”.
Forse anche le non-manifestazioni.
Buon 1° Maggio.