Dal porto antico di Genova riparte l’astronave dei Kraftwerk

testo e foto di Silvia La Ferrara

Venerdì i Kraftwerk erano a Firenze, ma il posto giusto per essere con loro mi è parso Genova, sabato sera, con quel mare scuro e che si muove anche di notte non sta fermo mai. Da Genova si parte da sempre: per l’America, per la Cina, per i porti del Mediterraneo e dell’Oriente e infatti, mentre aspettiamo che cominci il concerto, enormi traghetti sfilano dietro il palco e uno con il canarino Titti sul camino è così vicino che sembra possa sfondarlo. Dal ponte alcuni salutano e dalla platea altri rispondono: anche noi, seduti sulle sedie di plastica blu, sappiamo che stiamo per partire.

Il viaggio sarà prodigioso, nello spazio e nel tempo. Da quegli anni Settanta, quando molte cose sembravano possibili, all’affermazione di una tecnologia così pop che non capiamo ancora se ci ha migliorato o complicato la vita.

Salgono i quattro sul palco, Ralf Hütter, il fondatore, a sinistra, le tute percorse da fili elettrici cangianti: i Kraftwerk sono ancora con noi, immobili e inespressivi ci porteranno via due ore per il mondo e nel tempo, fuori e dentro le nostre vite.

Si comincia  con la magica sequenza di Numbers che si ferma all’8 e non comprende lo 0 e fa pensare all’ottavo giorno della Resurrezione. Perché quella che è iniziata è una liturgia che i musicisti officiano dalle loro consolle, mentre dietro su un grande schermo i pixel creano visioni. 

Entriamo nello spazio numerico del computer, more fun, home e infine paesaggio ligure con algoritmi quando l’astronave di Spacelab atterra su una mappa satellitare del porto antico e si fa vicina vicina al palco.

Appare un Maggiolone Volkswagen e scorrono i colori di Autobahn: tra colline e pianure nordiche passa l’intera storia automobilistica tedesca; poi le distanze crollano definitivamente con Trans Europa Express, quello che l’Europa poteva essere, uno spazio-tempo sconfinato di lingue, storie, persone. Si alternano tedesco, inglese, russo, cinese, giapponese, spagnolo e mentre il ritmo sferraglia e i sintetizzatori e i vocoder crescono, la voce metallica e ironicamente distaccata di Hütter ci porta al Tour de France del 1983: bici da riparare in fretta e sprint final à l’arrivée.

Passione per il movimento, per lo spostamento tra qui e ora e un futuro che è già avvenuto tra le Neon Lights di tutte le città del mondo senza riuscire a cancellare quel passato dal quale volevamo fuggire. 

I bassi fanno vibrare il petto quando esplode il dramma di Radioactivity, in the air for you and me, e viene fatta giustizia dei nostri sproloqui sull’Intelligenza Artificiale: we are the robots, we are programmed just to do anything you want us to.

Non è un viaggio facile, ma vorrei che non finisse mai. Sembra quasi che succeda tra le note e le immagini di The model, ma she’s playing her game e le illusioni cadono una a una.

Mix finale di Boing Boom Tschak, Techno PopMusic non-stop. Non ci sono repliche nel tempo-spazio dei Kraftwerk, il rito è compiuto e sono con noi le note della musica che resta su tutto.

Saliamo in silenzio verso i caruggi e l’ultimo gin tonic è didascalico, nel piccolo bar di fronte a Electroidea snc., prima di staccare la spina.