I manifesti pubblicitari sui casermoni rumeni sembrano una promessa di rifacimento della facciata. Più è degradato il palazzo, più crederesti all’idea di pulito che la gigantografia del detersivo vorrebbe assicurare.
Non so se è un caso, ma la maggior parte dei manifesti che ho notato girando per le strade di Bucarest vendono un’immagine di pulito: un’attrattiva decisamente più interessante rispetto alle modelle benvestite coi grandi marchi, stirate sui pochi palazzi ristrutturati. In effetti la badante rumena che mette i soldi da parte, rivedendo una volta l’anno la facciata del proprio palazzo dove il marito e i figli hanno certamente imparato a fare da soli il bucato, rivedendo quella facciata forse potrebbe credere al potere sbiancante dei detersivi della madrepatria.
Mettendo i soldi da parte pagherà prima o poi la ristrutturazione, e anche Bucarest cambierà faccia e smetterà di somigliare a se stessa, con certi angoli di vuoto che potrebbero diventare qualsiasi cosa, almeno prima di diventare semplicemente altri immobili in quartieri gentrificati.
In tre giorni a Bucarest potresti farti un’idea della città anche soltanto da questi manifesti lisci sulla crosta di cemento, che a differenza dei manifesti di moda non riescono a farla sembrare un’altra città, ma solo a lasciare intendere che dietro a migliaia di finestre riparate con i sacchi di plastica al posto dei vetri, dentro ai casermoni tutti uguali per interi quartieri, c’è un concentrato di dignità che donne e uomini rumeni portano avanti ogni giorno, grattando bene le superfici lavabili e tirando a lucido ogni angolo nel proprio spazio privato perché non resti traccia alcuna di quel che è stato.