Testo e foto di Andrea Barzagli

Cracovia ce la mette tutta per attirare il mio sguardo, la mia attenzione da così lungo tempo rivolta a sud. Mi compra con il cibo, con i Simit che mangiavo ad Istanbul, ci prova con una luce di taglio che colora i monumenti della sua piazza, vasta, spaziosa, ti permette di fare così tanti passi indietro che riesci ad inquadrarla tutta la chiesa, e ci entra anche un po di cielo. Non ricordo molto della prima volta che sono venuto qui, facendo un rapido conto devono essere passati dieci anni, il mercato coperto che sta al centro della piazza lo ricordavo magico, lo ritrovo adesso pieno di souvenir, ci passiamo attraverso velocemente, ancora sopravvive qualche bancarella che vende gioielli d’ambra. Nei miei ricordi distorti dal tempo ce ne era così tanta che poteva esserne ricoperta la struttura stessa. All’uscita c’è una commemorazione a metà tra la rievocazione storica e la parata militare, studenti in giacca nera e cravatta verde, militari in mimetica e personaggi sbucati dalle fiabe nordiche con pellicce, piume, spade e copricapo di ogni genere e statura. Rullo di tamburi, i militari alzano i fucili e sparano, il suono fa eco tra i palazzi riempiendo il cielo di uccelli in fuga. Lo stomaco si è svegliato e guida i passi verso la cena, lasciamo il centro per un ristorante letto su una guida, tutto pieno, girovagando un po sembra che si venda solo birra e salsicce, approdiamo ad un pub; zuppa di pomodoro e pirogi, sembrano un po ravioli cinesi, spinaci e formaggio o cavolo e funghi, porzioni abbondanti, hanno detto che stanotte passano a salutarmi. Sarebbe l’ora di rientrare all’ostello, c’è però necessità di camminare un po per seminare i ravioli, magari perdono le nostre tracce e stanotte dormiamo tranquilli. C’è musica per le strade, nei locali, la temperatura è scesa un po, il quartiere ebraico ha dimensioni più piccole, ci torneremo con calma domani.

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Dalla finestra semiaperta della camera ho sentito gonfiare il sabato sera fino al mattino, usciti dall’ostello c’era ancora musica nel vicolo, una porta dorata ne chiude il fondo, escono ragazzi con vestiti non adatti all’aria fresca di questa domenica mattina. La grande piazza è semivuota, c’è qualcuno che dorme sulle panchine, l’acqua delle fontane scorre e, insieme a quella versata dai proprietari dei bar, sembra voler lavare via i segni della lunga notte appena passata. Cracovia si fa bella, sono le 8, c’è ancora tempo, le colazioni aprono alle 10. Aspettiamo che apra il locale che ho puntato ieri, ci sediamo a terra su cuscini, i primi raggi del sole attraverso la finestra alle mie spalle, puntano dritti sul tavolino. Tè alla menta e baklava, nel quartiere ebraico mi concedo questa parentesi di oriente, quattro tazze una dopo l’altra, zucchero abbondante, la schiena poggiata al muro e il libro in mano, potrei restare qui seduto tutta la mattina.

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Dopo poco però siamo fuori a cercare il “free walking tour”: ombrello verde e bandierina inglese, ci accodiamo al gruppi che si addentra tra le case basse del quartiere ebraico. Dmitri, la nostra guida, parla un inglese veloce, spesso mi distraggo e perdo il filo del discorso, dalle sinagoghe al mercato dei vestiti, appena fuori dal quartiere c’è una chiesa imponente non riesco a cogliere il nome di chi ordinò che “le sinagoghe devono essere più basse della chiesa più bassa”. Scendiamo verso il fiume, che poi “scendiamo” non è il termine adatto in questa città piana. Battelli, un grande ponte pedonale sovraccarico di lucchetti, acqua marrone e piccole barche, dall’altra parte il ghetto di Cracovia. Il tono di voce della guida è cambiato, non poteva essere diversamente per ciò che ha da raccontare. Vive così le sue due facce questa città, al mattino lava via il sabato sera, le bottiglie, il vomito per strada, abbassa il volume, si fa bella e più fredda, pronta per coloro che qui cercano memoria di ciò che è stata.

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