Testo di Alessandra Giusti, foto di Maurizio Antonetti
Firenze è anche Palazzo Vecchio. Una creatura fantastica, chimera bifronte sospesa fra un passato medioevale e una più recente natura rinascimentale: la reggia medicea appare quasi nascosta dietro le sue muraglie merlate, medioevali, sormontate dalla possente torre.
Difficile rispondere alla domanda di cosa sia Palazzo Vecchio. Certamente è un insigne monumento civile, sede del governo della città sin dal lontano XIV secolo, tuttavia chi si affaccia nel Cortile di Michelozzo scopre uno stile che appartiene al 500 maturo. Se poi si sale nel salone dei Cinquecento o nella sala delle Carte geografiche, ci si trova all’interno del Palazzo ducale voluto da Cosimo I de’Medici e di cui Vasari fu regista polivalente (dal 1555 fino al 1574) per la messa in opera di un grandioso piano celebrativo e di legittimazione di Cosimo, appunto, e del suo governo.
La cosa più bella di Palazzo Vecchio è un dipinto di Leonardo da Vinci che ancora scolora sulla riva del tempo, fissato nella memoria da parole tradite, il frutto di una sfida pittorica in cui si “scontrò” con Michelangelo per affrescare il Salone dei Cinquecento.
Firmato il contratto di commissione con Soderini nel 1504, secondo il quale i due artisti avrebbero dovuto dipingere due battaglie, Leonardo scelse la vittoria riportata dai fiorentini ad Anghiari nel 1440.
Leonardo conosceva la tecnica dell’affresco ma era solito procedere lentamente e con continui ripensamenti così, consapevole dei propri limiti, scelse la tecnica dell’encausto. Evidentemente l’encausto non funzionò perché quando riscaldò il dipinto per raggiungere maggiore lucentezza e asciugare i colori, essi cominciarono a scolare lungo la parete.
Fortunatamente quel progetto oggi continua a vivere grazie a ciò che ne resta: i disegni preparatori e i racconti traditi, l’appassionata immaginazione dei posteri.