Testo e fotografie di Letizia Sgalambro
C’è una cosa che mi ha colpito arrivando questa volta a Gerusalemme: l’assenza.
E’ come se nella città vecchia si fosse creato un vuoto: via Dolorosa che di solito si percorre facendo a gomitate per poter passare è piacevolmente scorrevole, c’è il tempo per fermarsi a parlare con i negozianti senza l’angoscia di essere travolti dalla folla. In due giorni non ho incontrato italiani, solo qualche gruppo di americani e asiatici, ma anche loro, mi è stato detto, stanno iniziando a disdire i viaggi di gruppo e a rimandarli a data da definire.
Che sta succedendo?
Sta vincendo la paura, prima dettata dalla guerra a Gaza, e ora dall’Isis.
Tutto Israele è percepito come un posto a rischio, l’aeroporto di Ben Gurion a Tel Aviv, famoso per le file interminabili per il controllo passaporti, ora pare un aeroporto fantasma, in dieci minuti si passano tutti i controlli senza alcuna fila.
La paura vince, eppure Gerusalemme rimane uno dei posti più sicuri al mondo, la città nuova, i mercati, le strade, brulicano di gente del luogo che si muove tranquilla. E’ certo che non ho mai visto da nessun altra parte così tanti soldati in giro con i mitra a tracolla, tanto che per loro diventa normalità avere il mitra da una parte, e la ragazza per mano dall’altra, e pure i bambini ti mostrano orgogliosi il loro bel mitra di plastica, per emulare padri e madri che devono essere sempre pronti a difendersi.
La paura può assumere diverse forme, e ognuna di esse lascia l’amaro in bocca. Vorrei tornare a vedere Gerusalemme più piena di turisti e più vuota di militari, con i bambini che giocano a pallone invece che a fare i soldati. Illusa? Può darsi, ma preferisco essere illusa che rassegnata.